20200925 Le finezze di un ex presidente

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2020 09 25[modifica | modifica sorgente]

PROFESSIONE 📷 📷 📷 PREVIDENZA FORENSE | 25 Settembre 2020 Opting out in Cassa Forense: seconda puntata di Paolo Rosa - Avvocato In questa seconda parte dirò cose “sgradevoli” ma realistiche. Il sistema previdenziale forense si è affermato quando gli avvocati erano pochi, in periodo di forte espansione demografica e soprattutto economica. Per questo è stato adottato il sistema di finanziamento a ripartizione con calcolo retributivo della pensione. Questo sistema ha consentito politiche di sostegno dei redditi nell’età post lavorativa e di prevenzione della povertà tra gli anziani ma ha mostrato, al tempo stesso, una intrinseca tendenza al sovradimensionamento e all’eccessiva generosità. È noto che, mediamente, in Cassa Forense paghi 1, come contribuzione, e incassi 4, come pensione. Naturalmente vi sono avvocati che versano in contribuzione 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 per ricevere, al momento del pensionamento, sempre 4. Ma questi benefattori, per lo più locati al Centro - Nord, sono pochi (7-8% sul totale) e oggi non sono più in grado di finanziare il sistema. Bisogna altresì tener conto del processo demografico in corso, da leggersi come riduzione della natalità e aumento della speranza di vita, con un’evidente contrazione della platea dei lavoratori iscritti (ovvero dei soggetti che contribuiscono al sistema pensionistico) rispetto a quella dei pensionati (ovvero dei soggetti che ne beneficiano). Recentemente, in un convegno organizzato da ANF a Roma, proprio il Direttore di Cassa Forense ha fatto presente che, secondo le proiezioni attuariali di Cassa Forense, nel 2050 il rapporto iscritti attivi / pensionati sarà di 1:1. L’insostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici a ripartizione è un concetto sul quale vi è un sempre più largo consenso il che impone la necessità di correggere le distorsioni microeconomiche. Tali distorsioni, che non dipendono dal meccanismo finanziario della ripartizione in sé e per sé, ma piuttosto dall’assenza di una forte correlazione, a livello individuale tra contributi versati e prestazioni incassate. Il sistema non è equo perché le retribuzioni più dinamiche, che sono anche quelle mediamente più elevate, risultano nettamente avvantaggiate, in termini di tasso di rendimento, rispetto ai profili retributivi più bassi e più piatti. Oggi l’Italia è seconda solo alla Spagna per numerosità di avvocati con un insostenibile rapporto sulla popolazione, in specie al Sud dove raggiunge un tasso che non può che creare totale povertà. A mio giudizio l’insieme di questi dati dovrebbe indurre il management di Cassa Forense a una riforma di sistema. Non basta più una riforma parametrica, che implica aggiustamenti più o meno rilevanti nei parametri che definiscono il sistema al fine di ricondurlo all’equilibrio finanziario come incrementi delle aliquote contributive, aumento dell’età effettiva di accesso alla pensione, modifiche nei coefficienti utilizzati nelle formule per il calcolo della pensione, restrizioni ai meccanismi di indicizzazione. Qui ci vuole una riforma radicale perché le misure parametriche sovra descritte rappresentano un classico esempio di conflitto intergenerazionale, giacché l’aumento dei contributi penalizza soprattutto le classi giovani e lavorative, mentre la riduzione delle pensioni si scontra, oltre che con la giurisprudenza dei diritti acquisiti, anche con il disagio morale derivante dal venire meno a passate promesse. Bisogna uscire dalla lettura miope dei dati: oggi abbiamo 250 mila avvocati, per lo più poveri, che si arrabattano nel quotidiano per sopravvivere e che quindi non riescono anche solo a pensare al loro futuro previdenziale. L’opting out io lo vedo come un rapido ritorno in INPS o una profondissima riforma strutturale che veda un primo pilastro obbligatorio, con prestazioni uguali per tutti, e un secondo pilastro a capitalizzazione pura dove ognuno possa costruirsi la sua pensione in base alle rispettive esigenze e possibilità. Continuare nell’esistente con piccoli ritocchi a me pare oggi un’inutile e dannosa perdita di tempo.


2020 09 24[modifica | modifica sorgente]

PREVIDENZA FORENSE | 24 Settembre 2020 Opting out in Cassa Forense di Paolo Rosa - Avvocato Si tratta di consentire a una platea di almeno 100 mila avvocati di non versare i contributi minimi obbligatori che la riforma della mia presidenza aumentò, congelandoli nel tempo, per meglio finanziare le pensioni minime, che sono la stragrande maggioranza e contenere il debito previdenziale latente. La super commissione in Cassa Forense dovrebbe quindi abolire i contributi minimi per renderli proporzionali al reddito così da intercettare le aspettative di almeno 100 mila avvocati. L’opting out è però difficile da realizzare perché comporta, proprio per i più giovani, la riduzione della tutela obbligatoria oltre al peggioramento del bilancio della fondazione. Come scrivevo nel 2014, nel mio articolo La infrazionabilità degli anni di iscrizioni ai fini pensionistici in Cassa Forense, la previdenza è un puzzle da maneggiare con cura e quindi richiede grande competenza e professionalità nel muovere i pezzi proprio per evitare l’effetto domino che può portare al crollo dell’intero sistema previdenziale. Oggi l’opting out è reso problematico, dal sistema di finanziamento a ripartizione, dall’esistenza di 30 mila pensioni in essere, quasi tutte retributive (mediamente paghi 1 e prendi 4) senza possibilità di agire con contribuzione di solidarietà per il divieto ormai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità. Ovviamente all’interno di una stessa categoria di lavoratori non si possono creare delle gabbie previdenziali e quindi, a mio avviso, l’intero sistema previdenziale forense dovrà essere ridisegnato cercando di conciliare le opposte esigenze. Io capisco che i giovani avvocati di oggi, con i modestissimi redditi di cui dispongono, non possano pensare alla previdenza perché impegnati nella sopravvivenza, ma la fondazione dovrebbe introdurre, al posto del tanto discusso welfare attivo, una contribuzione figurativa proprio per garantire la continuità dello zainetto previdenziale e la garanzia del trattamento previdenziale alla fine del percorso lavorativo.