Conflitto sociale legale/Sistema pensionistico privato

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Il sistema pensionistico privato in Italia (detto anche sistema pensionistico complementare italiano) consiste nell'insieme delle società private o di enti previdenziali che gestiscono le assicurazioni sociali regolate da leggi di diritto privato, alle quali i lavoratori aderiscono volontariamente.

Il sistema pensionistico privato rientra nell'assistenza libera come indicato nell'ultimo comma dell'art. 38 della Costituzione, per permettere ai cittadini italiani nelle situazioni di bisogno di ulteriori possibilità di assistenza sociale.

Caratteristiche[modifica | modifica sorgente]

Il sistema pensionistico privato è finanziato con i premi assicurativi versati volontariamente dagli aderenti e gestiti nel rispetto del principio della capitalizzazione integrale con un patrimonio di previdenza ossia con un indice di patrimonializzazione pari o superiore al 100%. Il sistema pensionistico privato è quindi parte del sistema pensionistico italiano. Gli enti che gestiscono il sistema pensionistico privato mettono a disposizione fondi dedicati, fondi pensione.

Non bisogna confondere le casse di previdenza dei liberi professionisti ai sensi del D.Lgs. 509/1994 e D.Lgs. 103/1996 con la previdenza privata. Gli enti sono con persona giuridica privata ma come attività istituzionale hanno la gestione di un sistema pensionistico pubblico ossia previdenza di primo pilastro.

Le stesse sono gestite senza patrimonio di previdenza quindi con un indice di patrimonializzazione in genere intorno al 20%.

Il ruolo del TFR[modifica | modifica sorgente]

In Italia il livello di contribuzione legato al lavoro è ai più alti livelli rispetto ai paesi OCSE sia come aliquota contributiva di finanziamento che come gettito fiscale in rapporto al PIL. Ciò ha contribuito alla esplosione della bolla previdenziale.

In Italia non si è potuto quindi sviluppare il secondo pilastro della previdenza in quanto i costi del sistema pensionistico pubblico sono elevatissimi rispetto agli altri paesi OCSE e non è pensabile uno opting-out di una parte di contribuzione per finanziare un sistema pensionistico privato obbligatorio.

Si è optato quindi per la nascita di un sistema pensionistico privato volontario che rientra nel terzo pilastro della previdenza.

Le uniche risorse che potevano essere utilizzate visto che le aliquote sono al 33% è stato l'utilizzo incentivato del TFR che con sgravi fiscali ha portato ad impegnare per la previdenza oltre il 43% del reddito, cifra assurda nel panorama mondiale.

Il trattamento di fine rapporto è pari ad un tredicesimo del salario ovvero il 6,91% di esso.[1]

Gli aderenti al sistema pensionistico privato di terzo pilastro hanno il vantaggio di una capitalizzazione superiore alla remunerazione del TFR.[2]

Ma il vantaggio era soprattutto di origine fiscale in quanto i percettori di elevati redditi potevano usufruire sulla quota aggiuntiva al TFR dell'abbattimento della aliquota fiscale marginale.

Reddito annuo lordo Aliquota marginale IRPEF 2008* Versamento ai Fondi Pensione Risparmio fiscale
€ 15.000,00 23% € 5.164,57 € 1.187,85
€ 28.000,00 27% € 5.164,57 € 1.394,43
€ 55.000,00 38% € 5.164,57 € 1.962,53
€ 75.000,00 41% € 5.164,57 € 2.117,47
€ 85.000,00 43% € 5.164,57 € 2.220,76

[3]

Quindi, nel mezzo di una crisi economica, politica e sociale, ingenti risorse fiscali (la raccolta annuale totale era di circa 5 miliardi nel 2013) venivano destinate dallo Stato italiano attraverso l'elusione fiscale per investimenti che i fondi facevano anche all'estero penalizzando le grandi imprese che si vedevano sottratta una fonte di finanziamento a basso costo come era stata quella del TFR.

Le lobbies dei fondi pensioni erano riuscite a crearsi un mercato protetto interno operando su base corporativa sviluppando una politica economica recessiva quando il problema principale dell'Italia era la mancata crescita dal 1990 in avanti.

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. Marco Abatecola, Buoni rendimenti grazie a una gestione efficiente, in Il Sole 24 Ore, 24/11/2014. URL consultato il 26 novembre 2014.
    «Il Tfr rappresenta la principale fonte di finanziamento della previdenza complementare ed escludendo il 6,91% della retribuzione versato al Fondo pensione l’accantonamento sarebbe assolutamente insufficiente ad assicurare una copertura di secondo pilastro adeguata alle future esigenze previdenziali.».
  2. Marco Abatecola, Buoni rendimenti grazie a una gestione efficiente, in Il Sole 24 Ore, 24/11/2014. URL consultato il 26 novembre 2014.
    «Dal 1998 ad oggi il rendimento medio dei Fondi pensione è stato superiore alla rivalutazione del Tfr.Nel solo 2013 i Fondi pensione negoziali hanno reso il 5,4% a fronte dell’1,7% del Tfr.».
  3. Deducibilità Fiscale dei Fondi Pensione, pensione-integrativa.com. URL consultato il 6 ottobre 2014.
    «v. tabella».

Voci correlate[modifica | modifica sorgente]

Collegamenti esterni[modifica | modifica sorgente]

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