Giancarlo Pittelli

Da const.



IL SISTEMA

Pubblichiamo di seguito ampi stralci di un memoriale scritto dall’avvocato Pittelli durante la detenzione nel carcere di Nuoro, che è il principale imputato (in quanto è il più famoso) al processo Rinascita Scott.

di Giancarlo Pittelli, Il Riformista, 18.3.2021

Svolgo da 45 anni la professione di avvocato penalista, avendo ereditato lo studio legale dal nonno materno On. Francesco Caroleo (Padre costituente) e da mio padre già Consigliere di Banca d’Italia e legale di numerosi istituti di credito. Nel 2006 fui eletto al Senato e nel 2008 nuovamente alla Camera. In ambito parlamentare fui membro della Commissione Giustizia di Camera e Senato e delle bicamerali sul ciclo dei rifiuti e sul delitto di Ilaria Alpi. Ho servito il mio Paese con spirito di servizio occupandomi, da membro della Commissione Giustizia di Camera e Senato, di modifiche ai codici penale e di procedura penale.

Nell’anno 2007, a seguito di contrapposizioni molto forti con l’allora PM Luigi de Magistris, fui raggiunto da un’informazione di garanzia per la violazione della legge Anselmi ed altro. Il procedimento finì con l’archiviazione per mancanza della notizia di reato. Nel frattempo il de Magistris, cui erano state revocate le assegnazioni dei processi Poseidone e Whynot, mi denunciò alla Procura di Salerno assieme ad alcuni magistrati catanzaresi per il delitto di corruzione in atti giudiziari. Dopo 11 anni il Tribunale di Salerno sentenziò l’insussistenza dei fatti.

Nella notte del 19 dicembre 2019 la mia abitazione di Catanzaro veniva invasa dai Carabinieri del Ros di Roma che mi notificavano un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Catanzaro (Barbara Saccà) su richiesta della locale procura diretta da Gratteri. Leggevo rapidamente la rubrica a mio carico: associazione mafiosa e rivelazione di segreti d’ufficio. Alle 5 del mattino, dopo aver lasciato nella disperazione mia moglie e mia figlia, venivo condotto nel mio studio per la perquisizione e per gli ulteriori accertamenti. Nel corso della perquisizione mi venivano consegnate la richiesta del PM e l’ordinanza del gip: oltre 15.000 pagine divise in decine di tomi che lasciavo ai miei difensori tempestivamente intervenuti.

Alle 17,30 venivo condotto negli uffici del Comando provinciale dei carabinieri di Catanzaro. Dopo lunghe ore di attesa, alle 22 venivo tradotto al carcere di Catanzaro ed affidato alle “particolari cure” del reparto speciale della Polizia penitenziaria. La cella di isolamento era dotata di un letto di ferro con materasso di gommapiuma e null’altro. Mi venivano sottratte persino le sigarette. Durante la notte insonne venivo sorvegliato a vista per l’eventualità di atti suicidari. La mattina del 20 dicembre incontravo per pochi istanti i miei avvocati che avevano letto alcuni stralci dell’ordinanza cautelare. Costoro mi dicevano che era impossibile leggere l’ordinanza e la richiesta in tempi brevi. Mi consigliavano, pertanto, di avvalermi della facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia poiché impossibilitato a conoscere, nella sostanza, le ragioni di un’accusa talmente grave. Il medico del carcere, dopo avermi visitato mi prescriveva, consegnandomi il tutto, l’assunzione di antidepressivi e tranquillanti.

Tutta la giornata del 20 la trascorrevo in cella di isolamento in una situazione di sopore, disperazione e sconforto. Il 22 dicembre venivo tradotto in ceppi presso il Tribunale di Catanzaro per l’interrogatorio di garanzia nel corso del quale mi avvalevo della facoltà di non rispondere . Alle 15 di quello stesso giorno venivo condotto all’aeroporto di Lamezia Terme e, da li, con un volo di Stato, venivo trasferito al carcere di Nuoro. Prima della partenza chiedevo di poter avvertire la mia famiglia del trasferimento. Mi veniva risposto che non potevo avvertire nessuno. La medesima risposta mi veniva fornita anche a Nuoro. Soltanto il 28 dicembre potevo spedire un telegramma alla mia famiglia ed ai miei avvocati. Anche a Nuoro una cella di isolamento lurida, senza una coperta, senza nulla da mangiare o da bere. L’isolamento durerà per tutti i dieci mesi di detenzione carceraria. Tutti e dieci.

Il 29 dicembre ricevevo la visita dei miei avvocati i quali, da una lettura ancora sommaria del voluminoso incartamento consegnatogli, affermavano che l’ordinanza di cattura era sostenuta da una serie di libere interpretazioni del materiale intercettivo acquisito dai PM a far data dal 2016. L’ipotesi circa mia organicità alla cosca Mancuso era stata correlata ad una serie di dati del tutto inconsistenti quali:

1. L’avere intrattenuto rapporti travalicanti il fatto professionale con il boss della ‘ndrangheta Luigi Mancuso;

2. L’avere raccomandato la figlia di costui per un esame universitario (raccomandazione mai avvenuta);

3. L’essermi speso con alcuni medici catanzaresi in favore di un bimbo di pochi mesi affetto da probabile leucemia, nipote di un affiliato alla cosca;

4. L’aver segnalato al boss Mancuso il nominativo di uno specialista in cardiologia per un’accurata visita;

5. L’avere indicato ad alcuni affiliati alla consorteria criminale un’enoteca dove poter reperire una particolare marca di spumante;

6. L’avere chiesto a Luigi Mancuso notizie circa l’interesse di qualcuno all’acquisto del villaggio Valtur di Nicotera Marina. E ciò prima di assumere l’incarico alla vendita conferitomi dalla società Prelios;

7. L’avere procurato in favore del Mancuso i verbali integrali segreti delle dichiarazioni rese dal pentito Andrea Mantella e non ancora depositati;

8. L’essermi rivolto allo stesso Mancuso al fine di non onorare un preteso credito vantato da un professionista vibonese;

9. L’essermi occupato del trasferimento di un affiliato alle Poste (mai avvenuta);

10. L’essere parte di un’associazione massonica segreta (mai accaduto, e poi con chi?);

11. L’essermi prodigato in favore di due clienti (totalmente estranei alla cosca) richiedendo notizie su due denunce al Colonnello dei Carabinieri Giorgio Naselli.

Il 9 gennaio 2020, giorno della discussione del riesame proposto avverso l’ordinanza cautelare, venivo tradotto all’alba dal carcere di Nuoro a quello di Sassari ove vengo rinchiuso in una cella in attesa. Il mio caso veniva esaminato alle ore 21, dopo 13 ore dall’inizio dell’udienza. Chiedevo, in sede di udienza, di poter rilasciare dichiarazioni spontanee: il Presidente mi assegnava soltanto dieci minuti nel corso dei quali affermavo con fermezza la mia estraneità ai fatti contestati. L’esiguità del tempo assegnatomi non mi consentiva di andare oltre la protesta di innocenza. Il collegio si limitava a riqualificare l’accusa di appartenenza organica alla cosca Mancuso in accusa di concorso esterno in associazione mafiosa con grado verticistico.

Fin dalla mattina del 19 dicembre il Procuratore Gratteri, nel corso della solita conferenza stampa, ad una specifica domanda rispondeva con toni trionfalistici che Pittelli era l’anello di congiunzione tra il mondo di sopra ed il mondo di sotto, il raccordo tra la mafia e la società civile, tra la mafia e la massoneria.

Nei giorni a seguire veniva avviata dai media nazionali e locali una campagna denigratoria di inusitata virulenza che proseguirà nei mesi successivi fino all’esito del ricorso per Cassazione.

La Corte di Cassazione esaminava il ricorso proposto dai miei difensori il 25 giugno emettendo una sentenza che ridimensionava sensibilmente il quadro indiziario di riferimento: annullava senza rinvio l’ordinanza cautelare quanto alle rivelazioni di segreto d’ufficio attesa l’insussistenza dell’aggravante mafiosa e circoscriveva il quadro probatorio ad un unico episodio costituito dall’ostensione alla cosca di Mancuso Luigi dei verbali secretati delle dichiarazioni di Mantella. Fin dal marzo 2020 i miei difensori avevano chiesto, dopo aver studiato tutto il fascicolo processuale, che io fossi interrogato non avendo potuto, nell’immediatezza, conoscere il contenuto preciso delle accuse mossemi.

Ebbene, il Gip dell’ordinanza cautelare, che aveva compiuto un’aggressione selvaggia nei miei confronti utilizzando aggettivazioni livorose del tipo “Giano bifronte, Parca della nuova era”, respingeva la richiesta di interrogatorio.

Dal 19 dicembre 2019 nessuno mai ha inteso ascoltare le mie ragioni, le mie spiegazioni, le mie motivate e documentate proteste di innocenza. Soltanto all’atto della chiusura delle indagini, avendo io stesso sollecitato l’interrogatorio previsto per legge, il Pm di Catanzaro delegava il suo omologo di Nuoro per l’espletamento dell’atto istruttorio. Lo stesso PM intervenuto in carcere a Nuoro mi diceva quanto fosse inutile procedere alla mia assunzione atteso il fatto che egli stesso non sapeva cosa contestarmi.

L’ordinanza cautelare – Il Tribunale del riesame

Il Gip della cattura, tra l’altro, affermava che l’uso del VOI nelle interlocuzioni tra me ed il boss Mancuso fosse rivelatore di rapporti talmente intimi da rivelare la comunione di interessi criminali! Come se non fosse fatto notorio che nel meridione d’Italia è d’uso corrente il VOI anziché il LEI. Ma vi è di più. Il Gip stesso esaminando il resoconto di una captazione ambientale tra due soggetti monitorati, ne trasforma il senso di essa tagliandone una parte che era pur presente nella richiesta del PM. Ebbene uno dei due chiedeva all’altro notizie sul mio conto: ”Pittelli difende quelli di la sotto, ma è mafioso?” la risposta: “No, è avvocato”. Ebbene la risposta, nel corpo motivazionale della ordinanza, viene tagliata, cioè scompare la risposta (“No, è avvocato”) con la conseguenza gravissima che la domanda appare come un’affermazione altamente indiziante.

Ho già esposto l’esito del ricorso per cassazione: l’unico elemento indiziario valorizzato dal Supremo Collegio ai fini della configurabilità del mio concorso esterno all’associazione denominata Mancuso, è costituito dall’ostensione dei verbali integrali (ancora segreti) del collaboratore di giustizia Mantella Andrea. Devo segnalare che a riscontro del fatto costituito dalla divulgazione di tali verbali, i giudici catanzaresi adducono due circostanze quali emergono dall’esame dei contenuti intercettivi: io, interloquendo con tale Giamborino, uomo di fiducia di Luigi Mancuso, ho fatto riferimento ad una lettera spedita dal pentito alla madre ed al fatto che costui (Mantella) avrebbe accusato il fratello. Come potevo saperlo? Beh, della lettera alla madre tutti avevano appreso, almeno un mese prima della mia conversazione con Giamborino, dai quotidiani calabresi che riportavano la notizia della missiva in questione. Da successivo articolo giornalistico avevo appreso della presa di distanze della famiglia dal pentito. Ne avevo dedotto che il Mantella non avrebbe risparmiato le accuse nei confronti dei suoi familiari. Vi è da aggiungere che finora in nessuno dei verbali depositati dai PM risulta che il collaboratore abbia accusato il fratello. (Dunque, avrei fatto riferimento ad un’intuizione e non già ad una notizia appresa attraverso canali illeciti!).

Ulteriore riscontro risiederebbe nel fatto che nel corso di un’interlocuzione censurata a proposito dei verbali di Mantella io avevo affermato di non essere ANCORA in possesso di tali atti. Da qui la deduzione circa la mia attivazione nella ricerca di documenti che urgevano probabili coinvolti. L’intera intercettazione è stata sottoposta ad ascolto da parte del consulente della mia difesa: ebbene risulta inoppugnabilmente che l’avverbio ANCORA non esiste perché mai pronunciato! Si tratta, dunque, di una falsificazione dell’intercettazione. (…) Ma vi è molto ancora negli atti processuali laddove la mia difesa ha rinvenuto intercettazioni mediante Trojan inoculato nel mio smartphone. Esiste la prova, contenuta in una captazione, del fatto che io non ho mai né promesso né consegnato verbali secretati a chicchessia. Sono stato sottoposto ad intercettazioni telefoniche ed ambientali (Trojan) per due anni.

Ebbene, tutte le conversazioni con Mancuso Luigi sono state omissate per la speciale tutela della riservatezza delle comunicazioni tra cliente e difensore allorquando trattano temi riferibili alla difesa tecnica. Posto che lo spyware registra le conversazioni ambientali c’è da chiedersi: se io fossi stato davvero alla ricerca dei verbali di Mantella ovvero se ne fossi stato in possesso, è plausibile che io non ne abbia mai parlato con il diretto interessato neppure de visu?

La mia vita di avvocato è finita anzitempo, sono stato abbattuto come uomo e come professionista dall’ansia inquisitoria della funzione giurisdizionale.

In maniera brutale, con la mortificazione dei ceppi, con un isolamento durato dieci mesi del quale conservo gli esiti (esiti di parkinsonismo legati al trattamento con psicofarmaci somministratimi in carcere).

Avevo la stima della gente di Calabria, conquistata in 45 anni di lavoro di impegno in centinaia di processi per innumerevoli clienti, anche importanti come ENI, Unicredit, MPS, TIM!

Tutto svanito nel nulla ad opera della giurisdizione piegata ad osannare il re delle interviste e del clamore mediatico.


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IL CASO PITTELLI

La drammatica vicenda giudiziaria dell’avvocato calabrese Giancarlo Pittelli, arrestato e da otto mesi in isolamento nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros, è gravissima ed allarmante per almeno due ordini di ragioni. La prima è che Giancarlo Pittelli è un avvocato. Non c’entra nulla la solidarietà di categoria. Egli non è accusato di aver molestato una donna, o di aver rapinato una banca, per la qual cosa la sua qualifica professionale non meriterebbe la benché minima considerazione. Egli è stato arrestato per reati asseritamente commessi in ragione dell’esercizio del suo magistero difensivo. Difendendo soggetti accusati di appartenere a cosche ndranghetistiche, egli avrebbe finito per concorrere nei reati dei propri stessi assistiti. Spero comprendiate la straordinaria delicatezza della questione. Siamo dentro quella zona grigia che accompagna da sempre il nostro mestiere di difensori, e dentro la quale si annida, certamente insieme al possibile illecito almeno deontologico quando non penale del difensore, il cuore pulsante della più spregevole cultura giustizialista, quella che nutre istintivamente l’idea che il difensore sia un sodàle del proprio assistito. Idea, questa, che segna in realtà la negazione –per i cittadini, non per gli avvocati- del diritto stesso di essere pienamente, compiutamente e liberamente difesi. Ora, la Corte di Cassazione ha già demolito molta parte di quelle gravissime accuse. Ha annullato senza rinvio, come si fa con la carta straccia, le ipotesi di rilevazione di segreti di ufficio e di abuso in atti di ufficio; ed ha derubricato l’accusa di associazione mafiosa nel leggendario, magmatico, imponderabile “concorso esterno”. L’esperienza ci insegna che quando un’accusa così grave nasce prendendo dal Giudice di legittimità simili ceffoni già nella culla, è destinata ad una assai tormentata sopravvivenza. Dunque è almeno legittimo il nostro allarme: e cioè che le accuse siano figlie, piuttosto che di concreti, gravi e concordanti indizi di reità, di quella cultura poliziesca deteriore che vede nell’avvocato difensore un intralcio alla Giustizia, un sodàle, appunto, dei propri assistiti. Si vedrà, naturalmente, e non sta a noi giudicare: ma le premesse queste sono, e non si può più oltre tacerle. La seconda ragione di allarme è che, a prescindere da ogni considerazione di merito, la vicenda testimonia il grave livello di degrado processuale che ha ormai raggiunto l’istituto della custodia cautelare nel nostro Paese, rispetto ai principi normativi e costituzionali che pure lo regolano. Secondo legge e Costituzione, la privazione della libertà personale prima di una sentenza di condanna è una soluzione estrema, eccezionale, temporalmente da limitarsi quanto più possibile, giustificata non solo da una imponente consistenza indiziaria, ma soprattutto da “concrete ed attuali” esigenze di cautela rispetto alla indagine. Pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato, pericolo di inquinamento delle prove. Concrete ed attuali significa che nessuno può essere incarcerato “altrimenti fugge”, o “altrimenti reitera il reato o inquina le prove”. Occorre che tali pericoli siano sorretti da elementi sintomatici concreti, attuali, tangibili. Giancarlo Pittelli è stato arrestato otto mesi fa, buttato in isolamento assoluto in una delle peggiori carceri italiane dove rischia di perdere il senno, pressoché irraggiungibile dai suoi cari e dai suoi stessi avvocati, nonostante il drastico ridimensionamento del quadro accusatorio ed il lunghissimo, interminabile, assurdo arco di tempo trascorso. Le persone non sono sacchi di patate, che prendi e butti in uno scantinato, e poi si vedrà. Siamo ormai assuefatti a questa idea barbara ed incivile di custodia cautelare, e la prevalente coscienza civile del Paese -o ciò che di essa è rimasto- ha smarrito il senso di quanto sia grave, e fonte di inaudite ed ingiustificabili sofferenze, una simile mostruosità. L’avvocato Pitelli è a tal punto pericoloso da non poter essere detenuto nemmeno agli arresti domiciliari, dopo otto mesi di carcere durissimo e di massacro della propria dignità e credibilità professionale? Ed in qual modo egli potrebbe oggi inquinare le prove, o reiterare i reati, o fuggire se almeno detenuto in casa, con divieto di comunicare con altri che con i più stretti familiari? Qualcosa non quadra, in questa vicenda, ed è giunto il momento di dirlo con chiarezza. In questo Paese non ci sono solo i leoni da tastiera, o i forcaioli che organizzano invereconde manifestazioni di plauso per arresti annullati poi a centinaia già nelle settimane e nei mesi successivi. Esiste anche una coscienza civile che orripila di fronte a simili aberrazioni; una coscienza civile che deve riacquistare coraggio, risollevare la testa e far sentire nitida e forte la propria voce, in nome della difesa strenua ed incondizionata della libertà e della dignità di persone che la Costituzione presume innocenti fino a definitiva sentenza di condanna, e con esse della libertà e della dignità di ciascuno di noi.


https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/05/05/calabria-cosi-lex-senatore-pittelli-fi-voleva-aiutare-la-cugina-per-il-concorso-allantitrust-telefonata-con-lex-governatore-chiaravallotti/5791377/