Helga Di Giuseppe

Da const.

2019 09 23[modifica | modifica sorgente]

Ci vuole un bel facciaculismo per un appelllo di questo genere!

Gentili rettori, vi informo che da sempre scegliete voi i ricercatori con criterio parentelare, simpatetico, servile, tutto fuorché meritocratico.

I soldi sono nostri, le università pubbliche sono nostre, dunque i ricercatori vogliamo sceglierli noi, seguendo le regole dei concorsi pubblici previsti dalla costituzione.

Via i mafiosi e i massoni dalle università! Basta bandi sartoriali e basta commissioni mafiose apparecchiate ad hoc per far vincere il candidato a uso e consumo personali!

Facebook 16 settembre 2017[modifica | modifica sorgente]

DEL CONCORRERE ITALIANO - OTTAVA PUNTATA

2010. FOGGIA Eccola di nuovo – L’anno che NON divenni ricercatrice – concorsi di nuova generazione

Commissione: prof. Emanuele Angelo Greco prof. Maria Raffaella Cassano dott. Mauro Menichetti

Il concorso di Foggia fu bellissimo e un trionfo per me che mi consolai considerandomi la VINCITRICE MORALE (nella vita bisogna anche sapersi accontentare).

Eravamo tantissimi e soprattutto notissimi, almeno la buona parte di noi. Lo sottolineò il prof. Emanuele Greco che mentre faceva l’appello, snocciolava come i grani di un rosario le nostre carte di identità dicendo: questo è noto, questo è noto, questo è famoso, oppure non diceva nulla. Io ovviamente ero persona nota. Ognuno di noi si presentò alla commissione nel modo più brillante, illustrando ampiamente il proprio percorso di ricerca di cui andavamo tutti fieri. Si erano iscritti a quella prova, anche se non tutti si presentarono Angelo Amoroso, Barbara Bianchi, Aldo Borlenghi, Laura Buccino, Matteo Cadario, Luigi Caliò, Flavio Castaldo, Mario Cesarano, Fulvio Coletti, Alessandro D’Alessio, Filippo Demma, Riccardo Di Cesare, Anna Di Giglio, Rachele Dubbini, Domenico Esposito, Fabio Fabiani, Domenico Falcone, Dunia Filippi, Silvia Forti, Fabiola Fraioli, Giada Maria Giovanna Giudice, Elisabetta Interdonato, Annalisa Lo Monaco, Emilia Masci Maria, Fabrizio Mollo, Andrea Celestino Montanaro, Simone Rambaldi, Carla Sfameni, Francesca Taccalite, Riccardo Villicich.

Ascoltare i colleghi era bellissimo e mi sentivo orgogliosa di far parte di una squadra così numerosa e tanto eccellente. Era come partecipare a un convegno dove ci si informava sulle novità di scavo e della ricerca archeologica, fu molto formativo. Ascoltarli tutti mentre con grande serenità e dignità parlavano del loro percorso era per me un privilegio e mi facevano tanta tanta tenerezza. Avrei voluto essere bionica per abbracciarli tutti quanti in un’unica soluzione, dicendo loro nell’orecchio: “Siete bravissimi, siete unici, non vi preoccupate, se va male questo concorso penso io a voi, fondando una Libera Università (la chiamiamo LUS: Libera Università degli Sfigati?) sul modello pitagorico, dove ognuno di voi avrà una cattedra in base alle competenze: stipendio base € 3.000,00 netti al mese per iniziare, con incentivi sulla produzione, ferie e malattia pagati…” E mentre sognavo in simil maniera ebbi un’illuminazione. Ma certo, pensai, qui è tutto sbagliato, la modalità concorsuale non può funzionare con queste povere commissioni composte da sole tre persone puntualmente in conflitto d’interesse rispetto a questo o a quel candidato. E poi, parliamoci chiaro. Ma di fronte a così tante persone con percorsi così speciali, ma come si fa a scegliere il migliore potendone scegliere uno soltanto? Ci vuole tanta capacità di giudizio, tanta obiettività e soprattutto tanta tanta onestà intellettuale, doti di cui i membri delle commissioni – poverini, non per colpa loro – sono in genere privi. E allora la soluzione quale poteva essere? Ma certo, mi sembrò così ovvio in quel momento. Il candidato che deve vincere deve essere votato dai suoi pari, dai suoi colleghi: eravamo tutti ricercatori e tutti in grado di giudicarci tra noi. Ognuno di noi avrebbe dovuto avere la possibilità di valutare i titoli degli altri assegnando una rosa di punteggi, da 0 a 5, ad esempio, sulla base di una serie di criteri esplicitati (es. originalità del percorso di ricerca, quantità e qualità della produzione, capacità organizzativa della ricerca, coerenza delle tesi sostenute, capacità di dominare la bibliografia, vastità e intensità delle ricerche ecc. ecc., criteri che in parte già venivano esplicitati nei bandi, ma sorprendentemente disattesi). Vince quello che ottiene più punti. Non pensate che sarebbe stato più democratico? Più si allarga la percentuale dei votanti e più i principi della democrazia hanno la possibilità di affermarsi. Ma ci voleva tanto ad arrivare a una soluzione così semplice? Perché a nessuno fino ad allora era venuto in mente? Perché la politica, sempre così attenta a ‘moralizzare’ i comportamenti universitari (e i comportamenti del Paese in genere) e a urlare allo scandalo, non era mai arrivata a tanto? Ai posteri l’ardua sentenza. E poi in questo modo si sarebbero sollevati i membri delle commissioni dal degradante ruolo di ‘uffici di collocamento’ per far recuperare loro quello ben più nobile di maestri. Datemi retta, Signori Giudici di concorso: fate i Maestri, siete molto più bravi in quel campo; il reclutamento non è cosa vostra e rimediate solo brutte figure.

Tornando alla realtà, molto bella era anche l’atmosfera che si generava, di grande solidarietà, di pacche sulle spalle, di racconti di altre esperienze concorsuali, di suggerimenti di lavoro da dare a questo o quel collega. Tutti stavamo in gruppetti a parlare allegramente sicuri che non si aveva nulla da perdere se non l’ambito posto di lavoro. Ma questi concorsi di nuova generazione avevano un’altra nuova caratteristica. Mentre tutti si confrontavano con le proprie esperienze ce n’era sempre uno che rimaneva in disparte, se ne stava meditabondo per conto suo, guardando nel vuoto, non si mescolava con il volgo, non parlava, non faceva bella mostra di sé. Taceva e probabilmente soffriva nell’attesa dell’Incoronazione.

La mia fu una performance molto brillante sostenuta dalla tifoseria degli amici che alle mie spalle, stringendo il pugno in avanti mi incitavano: forza, brava, avanti, puoi farcela…Il prof. Emanuele Greco a un certo punto aveva urlato: è così che si fa un curriculum, riferendosi al mio. E io pensavo tra me e me: che peccato che un uomo così intelligente, così colto, così brillante, così potente perda l’opportunità di far entrare all’Università una che sa formulare il curriculum come io sapevo fare e chissà quante altre cose belle avrei saputo fare oltre alla strutturazione di un curriculum se solo ne avessi avuto l’opportunità…

I giudizi formulati dalla commissione andavano dall’ottimo allo scarso, passando per buono, discreto, sufficiente, non pienamente sufficiente. Io fui uno dei tre candidati a prendere il giudizio migliore sulla produzione: OTTIMO scrissero di me i commissari. Presentavo allora 57 pubblicazioni valutabili, oltre al dottorato e a tutte le altre belle medaglie che mi ero nel frattempo messa sul petto. Scrissero OTTIMO anche di Giada Maria Giovanna Giudice, la figlia del prof. Giudice che non riusciva a ‘sistemarsi’, cosa che faceva molto disperare suo padre, nonostante presentasse ben 51 pubblicazioni, ma a quel concorso non venne per motivi che non ricordo. Prese OTTIMO anche Riccardo Di Cesare che al momento del concorso presentava 18 pubblicazioni.

Vinse RICCARDO DI CESARE allievo della compianta Maria José Strazzulla e nessuno mi ha mai spiegato perché tra una che presentava il curriculum più forte di tutti (nessuno dei presenti aveva prodotto quanto me) e uno che non era il migliore tra gli altri pur fortissimi che si erano presentati avevano scelto quest’ultimo. Nessuno ci ha mai nemmeno spiegato come mai a tanti altri colleghi bravissimi presenti in quel concorso che avevano dottorati, monografie e molti più titoli bibliografici di Riccardo Di Cesare non fosse stato dato Ottimo, ma solo Sufficiente. Ma sufficiente de che? La bibliografia di molti di quei presenti non era solo sufficiente, era Ottima, Ottimissima e allora ve lo do io quell’Ottimo che vi hanno negato, Cari Amici, molti dei quali poi ce l’hanno fatta entrando in soprintendenza o in università estere: siete Bravissimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!

Mi consolai con la prof.ssa Raffaella Cassano che allargò le spalle impotente e con imbarazzo mi chiese scusa per il fatto che non ero ancora entrata all’università. Non capii ancora una volta perché non si sfruttò quella occasione per farmi entrare: ero stata tra i migliori e non avrei tolto nulla a nessuno, a nessuno. Ma si sa, il mondo non va mai nella direzione in cui immaginiamo dovrebbe andare.

A 7 anni di distanza dal quel concorso in Dyabola, il database di pubblicazioni dell’Istituto archeologico germanico, la biblioteca archeologica più fornita che abbiamo in Italia e forse in Europa, compaiono 45 pubblicazioni di Riccardo Di Cesare e 73 pubblicazioni mie. Ma Dyabola non registra proprio tutto tutto tanto è vero che le mie pubblicazioni edite sono effettivamente 89 (le schede di catalogo le ho contate come un’unica pubblicazione) e 9 in corso di stampa, quelle di Riccardo Di Cesare da curriculum universitario sono invece ben 108: e meno male Riccardo che hai recuperato, sfruttando al meglio la grande occasione che hai avuto di fare il mestiere più bello del mondo: TI INVIDIO CON SINCERITÀ!!!

Oggi, quando Riccardo Di Cesare mi incontra a convegni internazionali che entrambi frequentiamo alla pari, lui presentando lo scavetto non ancora capito ad Alba Fucens e io le grandi sintesi sul rapporto in Italia tra produzioni e santuari, mi dice carinamente: “Helga, ti ruberò qualche idea…” e io penso tra me e me: “fai pure, Caro, sono abituata a essere derubata. Io nella vita ho studiato e ricercato tanto solo per avvantaggiare generosamente le carriere altrui…l’ho fatto generosamente solo ed esclusivamente per questo…e quando mi “ruberai qualche idea”, mi raccomando, non citarmi, falla TUA, come fanno tanti tuoi colleghi, tanto non se ne accorgerà nessuno e tu farai un figurone…un figurone…”


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