Luca Ferrari

Da const.

DIVULGARE LA FILOSOFIA

Anche oggi piccola discussione (io assente, grrr) sulla pop-sophia. Tuttavia l'argomento è cambiato: il problema è che cosa considerare "divulgazione" e cosa no. Ernesto Sferrazza e Marco Cavaioni ne hanno data una molto buona, che riporto con parole mie: è la trasmissione di informazioni semplificate ad un pubblico non esperto. Si noti bene: non del sapere, perché la trasmissione del sapere, di qualunque tipo, richiederebbe molti anni di studio e alla divulgazione il problema del tempo di apprendimento sta molto stretto. Poche informazioni rapide e via, infarinatura pronta.

A questo aggiungo una cosa mia: considero non divulgativo ogni libro che si sforzi di far pensare il lettore e lo metta sulla strada per conseguire la conoscenza che l'esperto ha. Ogni libro "divulgativo" che faccia questo è, di fatto, non divulgativo, ma libro filosofico.

Chiudo con la foto di un bellissimo testo. Può leggerlo anche un non esperto, quindi in questo senso è "divulgativo". Eppure non risolve nulla, ma assegna il compito decisivo al lettore: studiare per conoscere. Anzi, ancor meglio: pensare.


LA SOLITUDINE DEL PENSIERO

In questi giorni mi sto dedicando - per non più di venti minuti alla volta, come voleva Hume - ad un piccolo problema filosofico: la riflessione. È alquanto incredibile come nella tradizione filosofica l'atto della riflessione abbia comportato diverse conseguenze sociali, mi pare abbastanza inesplorate. La riflessione è esaltata da moltissimi filosofi, è il succo della attività filosofica stessa. Eppure ci condanna alla solitudine. I filosofi hanno evidenziato come riflettere voglia dire riflettere tra sé, in perfetta solitudine; di come l'uomo che pensa basti a sé stesso e dunque sia indipendente.

Aristotele in un celebre passo della Politica ci aveva detto che l'uomo fuori dal suo contesto sociale, l'uomo fuori dalla pòlis è una bestia o qualcosa più che un uomo. Nel X libro dell'Etica Nicomachea la perfetta felicità si dice che venga raggiunta solo nella attività contemplativa, nell'atto della riflessione, della ricerca col pensiero. Ed è Aristotele stesso a dirci che l'uomo può fare questo solo grazie al noùs che è la parte divina in noi. Proprio perché l'intelletto "divide" (libro gamma del De Anima) egli divide non solo il pensato dal pensante, ma anche il pensatore dagli altri uomini, il filosofo dai concittadini.

Così se in Hegel il riconoscimento dell'altro è fondamentale nel formarsi dell'autocoscienza, è pur sempre vero che il culmine del processo cosciente è la riflessione su di sé, l'indipendenza dall'altro, il rendersi Herr ("signore").

Pensare è sempre un atto di volontario esilio, in cui ci stacchiamo dell'umanità. Non si può mai pensare insieme: ognuno pensa dentro sé stesso, senza parole (è la definizione che ne dà anche Platone nel Teeteto).

Pensare è un atto asociale?


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