Luigi Menta

Da const.


2020 08 24[modifica | modifica sorgente]

Si pensa all'Italia, da parte di molti liberali, come a uno stato vecchio dal punto di vista storico e concettuale. In realtà è impossibile sostenere razionalmente questa tesi: il nostro Paese rappresenta un unicum nella storia dell'uomo. L'identità italiana è talmente radicata da non riuscire ad apparire a molti nella sua interezza: i campanilismi e i particolarismi che tanti malanni interni generano e danni dall'esterno importano non sono che un altro nome di questa miopia, di questa mancanza di prospettiva.

L'Italia è tale innanzitutto geograficamente: un insieme di valli e colline con logiche tra loro simili, microclimi che mettono in moto capacità agricole in gioiosa competizione, attraverso regole condivise che uniscono il Paese in una sola mentalità, fin dai tempi della religione olimpica e dell'ospitalità sacra a Giove. È così storicamente per il vino, l'olio, i formaggi, i salumi. Cibi spesso celebrati e commerciati come avveniva per le reliquie del basso impero romano, prima, e del medioevo poi. Un esempio: non c'è cultura del vino francese in Italia. Per quanto riguarda la birra, o la carne di bovino nelle recenti steak house, sono mode almeno parzialmente importate, ma la creatività italiana è tale che a ogni generazione sorgono imprenditori, piccoli e medi, che raccolgono la sfida di produrre l'eccellenza di questi settori entro i confini nazionali.

Il Novecento, il secolo della semina e della messe dopo il trauma risorgimentale arrivato a risolvere 1500 anni di ignominia e di invasioni barbariche, è la dimostrazione ulteriore che questo Paese, quando si autointende compiutamente, è capace di invenzioni e scoperte come nessun altro. Dall'energia nucleare alla plastica, dalla ridefinizione dell'auto alle infrastrutture fisiche e telematiche, dalla nuova industrializzazione all'incredibile varietà culturale, l'Italia invade il pianeta senza muovere un soldato. Le persone mangiano e bevono italiano quando vogliono andare al sapore concreto e alla salubrità dell'alimento. Il pubblico ascolta e ricanta italiano, la clientela veste italiano, il buongusto usa termini e idee italiane.

L'Italia è quel luogo nel mondo dove emergono sempre nuove forme di ricchezza, nuove nicchie di mercato, dove l'economia reale è tenuta in massimo grado da ogni individuo che voglia prendere in mano la propria esistenza. La tanto agognata fratellanza degli italiani è nel confronto delle scelte per il futuro, nella condivisione delle esperienze lavorative, che dal più piccolo borgo appenninico alle grandi città noi conduciamo con i nostri concittadini in un dialogo continuo, incessante.

L'Italia è quella fucina culturale che reinventa le ideologie e le religioni, le avanguardie letterarie e figurative, che appena posa il proprio sguardo sul pianeta sceglie, anche nei momenti più bui della propria storia, la pluralità vera di voci, la concordia dei popoli, e cerca di evitare finché le è possibile le leghe attiche, perché è consapevole che le nazioni egemoni la temono nella sua continua capacità di immaginare il domani.

Sta avvenendo adesso. Stiamo attraversando infatti un periodo in cui la finanza internazionalista cerca sempre più di emanciparsi dall'economia reale che la sostiene. La finanza accusa l'economia di essere responsabile delle guerre di interesse, e evita grazie agli enti internazionali qualsiasi controllo democratico da parte degli individui. In altre parole la finanza internazionale ha creato un'ideologia apparentemente liberale in cui gli stati non esistono, le frontiere sono aperte, e la classe media delle singole nazioni anziché allargarsi deve lasciare spazio a masse di diseredati, di nuovi schiavi.

Questo neoliberismo internazionalista, liberal, è la premessa a nuove rivoluzioni bolsceviche ed è non a caso appoggiato senza se e senza ma dai post(?) comunisti. Si tratta l'essere umano come merce un tanto al kg, e quei liberali che pensano la UE come soluzione dei "mali" italici sono parte del problema. Noi non possiamo non riconoscere il combinato disposto di neoliberisti internazionalisti (nel senso degli enti internazionali), difensori dei blind trust finanziari (lontano dalle masse di disperati, in isole circondate dall'oceano ieri covo di pirati), "artisti" a capo di associazioni corporative (e con conto in Svizzera), elettorati sinistri a carico dello stato... quale è nella sua essenza: l'insieme di quelle forze illiberali che cercano sfogo al proprio revanscismo posteriore al Secolo dei Lumi e al 1789.

Taluni liberali italiani, tra i tanti, che si scoprono critici verso il Paese al punto da preferirlo "calpesto e deriso, purché diviso" sono più o meno innocenti complici di questa situazione, fatta di tante picconate eterodirette alla nostra tranquillità collettiva. Sono complici di coloro che credono a tal punto al totalitarismo da voler preferire il placet di qualche potenza straniera (prima l'URSS, poi il duo renano considerata la mancanza di commozione oltreatlantico per la Bolognina...) con cui tessere intelligenza disfattista e sabotatrice alla legittimità popolare e democratica. Sono complici di chi vuole vivere di tasse altrui a vita, e per farlo svende un'indipendenza sognata per secoli. Sono amici dei nemici della nostra libertà, della nostra emancipazione, della nostra indipendenza, della nostra identità economica, culturale, creatrice.

Sono complici dei nostalgici dell'Ancien Regime, quale che sia, fatto di caste impermeabili una all'altra. Complici di coloro che tradiscono una visione antiumanista della vita, complici di chi è per la schiavitù dell'Uomo, complici di scelte politiche distruttive del nostro benessere, portatori d'acqua di chi nutre sentimenti antiborghesi e fa di tutto per non mitigare l'anticultura della povertà e dell'invidia sociale.

Nella loro ingenuità i liberali autonomisti, separatisti, indipendentisti ma europeisti non capiscono che i "partner" europei e atlantici vanno fieri della propria storia fatta di razzie nella nostra penisola e non vedono l'ora di saccheggiarci nuovamente, dopo aver guardato con avidità sempre più crescente lo sviluppo economico e culturale italiano del secolo scorso.

E si muovono, queste potenze a noi geopoliticamente nemiche, attraverso la finanza internazionale che ci chiede di svilupparci economicamente sempre meno (decrescita felice, distruzione della domanda interna, immigrazione senza regole), attraverso i patti manifesti e segreti (il porto di Misurata concesso alla Turchia per 99 anni, un tempo sufficiente a Hong Kong per non sentirsi più cinese), attraverso quell'ideologia neoliberista e quella UE che ci chiedono sacrifici anche con una economia bloccata dal lockdown.

Come se le guerre per interesse economico, in buona parte combattute dai paesi europei non nei loro territori ma in Italia, fossero colpa nostra.

Che l'Italia sia un paese tra i più ricchi al mondo, un paese che crea ricchezza e anzi la riformula con sempre nuovi beni prodotti da materie umili e non prime, non è una novità. Certo, nell'edile noi abbondiamo di materie prime: i nostri marmi sono esportati nei paesi arabi e in Nord America, per esempio. La prova di quanto l'Italia si acapace di arricchirsi quando si supera nella tentazione facile delle divisioni è nel suo straordinario patrimonio artistico, culturale, museale, archeologico. I due dati, la testa della classifica dei patrimoni UNESCO e il monopolio di fatto di beni artistici, museali e archeologici racconta questa storia, la storia di un Paese che fa la Storia, e attraverso il quale la Storia si fa grande delle vite degli Italiani.

Le nostre vite, oggi.