Marco Furfaro

Da const.


Ricordate la storia di Francesco Briganti? Era il maggio del 2018, quando lo andai a trovare. Un omone di 66 anni dal cuore grande, uno di quelli che la vita l’aveva morsa a denti stretti ogni giorno. Francesco non toccava cibo da giorni, era in sciopero della fame.

Francesco mi raccontò una storia assurda: aveva i requisiti anagrafici per andare in pensione, aveva versato contributi all’Inps, poi all’Enasarco, l’ente di assistenza per gli agenti di commercio. 17 anni di contributi, 41 mila euro. Ma non cumulabili con quelli Inps. Così, al momento di andare in pensione, Enasarco gli comunica che quei soldi non bastano. Niente pensione. Per averla, deve versarne almeno altri 7 mila, pari a tre anni di contributi.

Francesco chiese ad Enasarco (che ha un attivo di 154 milioni di euro!) almeno la restituzione dei 41 mila euro versati, ma gli furono negati. “Perché così funziona”, gli dissero. Come lui, in quella stessa assurda situazione, tante altre persone. Chiuse in un limbo allucinante e di cui la politica e i media poco o nulla sapevano.

Francesco mise a dura prova il suo corpo e la sua vita proprio per questo. Non per i soldi, non per una questione personale. Ma perché voleva sanare un’ingiustizia: quei contributi erano dei lavoratori, non di Enasarco. E quei lavoratori dovevano riaverli. Era disposto a tutto, se non fosse stato ascoltato. Lo dico senza retorica, perché parlammo tanto e vidi in lui la determinazione di chi non avrebbe mai cessato lo sciopero della fame senza un avanzamento di quella battaglia. Ero preoccupatissimo per la sua salute.

Per fortuna, la sua storia divenne virale e il caso di Francesco finì in tv. Molti si interessarono, alcuni esponenti di governo si dichiararono disponibili a prendere in carico il suo caso. Per questo accettò di cessare lo sciopero della fame.

Come nelle peggiori tradizioni, però, nei mesi successivi, solo silenzi. “Prima gli italiani”, “il governo del cambiamento”, “i pensionati che non arrivano a fine mese”. Slogan ipocriti erano e slogan sono rimasti.

Però Francesco non si è arreso. Ha costruito una rete, per fare da megafono a tutti quelli come lui, il “Comitato #MaiPiùSilenti” e ha deciso di portare Enasarco e il Ministero del Lavoro (che non lo ha mai ascoltato, nonostante i solleciti) in tribunale. Per vedere restituito a lui e agli altri lavoratori quanto versato negli anni. Perché, se inservibili per una pensione, quei soldi sono necessari per la dignità umana, per poter passare una vecchiaia dignitosa, come sancito dalla nostra Costituzione.

Tra poche settimane ci sarà l'udienza. Se vincerà, cambierà molto. Per lui e per tanta gente ingiustamente “derubata” dei propri soldi. In questi mesi, nel mio piccolo, ho provato a stargli vicino. Ci siamo piaciuti, io e quell’omone. E continuerò a farlo. Perché lui, in ogni caso, ha già vinto. Perché è lottare che tiene vivi, e la forza e il cuore che ci ha messo ha contagiato tante persone che ora hanno nuovamente una speranza.

Nel frattempo, sarebbe gradito, santo cielo, che gli esponenti di questo governo, da Salvini a Di Maio, anziché vivere in un’eterna campagna elettorale si fermassero a risolvere i problemi come quelli di Francesco, anziché promettere cose di cui si dimenticheranno il giorno dopo.

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