Marta Fana

Da const.

< Indice >

< prec > < succ >

< prec ind> < succ ind>

< Autori >






varie[modifica | modifica sorgente]

2022 01 24[modifica | modifica sorgente]

Giuro è l'ultima cosa che scrivo. In un paese senza politica industriale e in cui muoiono 4 persone al giorno nei luoghi di lavoro, il paese in cui lo sviluppo dell'industria va avanti solo in poche regioni - e anche qui non senza una grande frattura di composizione - la scuola professionale non può che essere un pozzo da cui le aziende attingono carne da macello. Questa cosa deve essere chiara. La scuola in sé è solo una diramazione istituzionale dello Stato e del suo governo, ovvero dei rapporti di forza esistenti in un determinato periodo storico. Quindi nel momento in cui lo Stato ha deciso di non governare la politica industriale e quindi il mercato (cosa come e per chi producono), ha anche abdicato a governare quel pezzo che chiamiamo scuole professionali. Questo tema è dirimente nella discussione. Ed è una questione politica a 360°, non riguarda solo gli studenti, ci riguarda tutti. Così come per me rimane dirimente pensare che un operaio abbia diritto a conoscere tutto. Non significa costringerlo a studiare filosofia ma manco per niente. Significa però iniziare noi a non pensare che un soggetto che oggi parte da una situazione ai margini non debba essere protagonista del governo delle cose dentro e fuori il suo luogo di lavoro. Perché conoscere la tecnologia e l'uso politico che se ne fa dentro i luoghi di lavoro dà agli studenti e ai lavoratori gli strumenti per autodeterminarsi nella società. Pensare che non siano interessati è abominevole. E se non lo sembrano, forse siamo noi non in grado di interessarli di trasmettere quell'urgenza di conoscenza di cui nessuno andrebbe privato.

Giuro la smetto.


2020 09 03[modifica | modifica sorgente]

L'idea di rendere il bonus ristrutturazioni al 110% strutturale significa far pagare le sristrutturazioni di seconde e terze case a tutti, principalmente a chi un casa non se la può neppure permettere. Possiamo iniziare a fare politica, cioè incalzare idee e scelte in base agli interessi che vogliamo supportare? Se si, non dovremmo solo rigettare l'idea di cui sopra ma dobbiamo pretendere che vengano investiti miliardi per il diritto alla casa di tutti, per l'edilizia scolastica.

Perché mi pare evidente che quella che quasi un secolo fa fu la questione agraria oggi è la questione immobiliare. E su questo serve quanto prima e quanto mai una incessante campagna per distribuire quel patrimonio, quel che poi si fa valore e rendita. Il futuro non è scritto ma qualcuno di sicuro lo scriverà.

Vedimo che dobbiamo fare.


2020 06 27[modifica | modifica sorgente]

La notizia dei focolai nei magazzini della logistica, ieri Bartolini, oggi anche TnT e DHL conferma ed enfatizza la totale assenza di sicurezza, le drammatiche e infauste condizioni di lavoro nel settore, prima durante e probabilmente dopo il coronavirus. Ancora una volta non possiamo permetterci di ribadire che avevamo ragione prima e durante la pandemia, ma dobbiamo seriamente fare in modo che l'attenzione sulla sicurezza, la salute e più in generale le condizioni del lavoro migliorino. E comincino a migliorare proprio in quell'abisso in cui si trovano oggi i lavoratori della logistica e non solo. Serve organizzarsi e serve una idea complessiva di come affrontare la questione politica ed economica dentro questo e altri settori. Qui non se ne esce con una singola vertenza (che tuttavia serve), non se ne esce girandosi dell'altra parte perché tanto noi nei magazzini non ci stiamo.

Serve parlare molto meno del gossip politico, delle castronerie su cui vogliono tenerci incollati, distratti e annoiati. Serve commentare molto meno a prescindere, perché davvero ha stancato e volendo essere realisti non è che poi stia portando lontano, a meno che questa immobilità sia per qualcuno un orizzonte a cui tendere.

2020 06 12[modifica | modifica sorgente]

La storia si scrive non si commenta!

Il razzismo e la repressione sono meccanismi a protezione di un ordine: lo sfruttamento capitalistico. Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo per garantire profitti a una minoranza che sta in alto e tenere sotto ricatto al maggioranza in basso.

Ieri sera a Milano la polizia ha arrestato un rider con regolare permesso di soggiorno e abbonamento perché voleva tornare a casa portando sul treno la sua bicicletta.

Pochi giorni fa un bracciante è morto ammazzato durante un rogo nel ghetto dove era costretto a vivere.

La scorsa settimana un bracciante pakistano è stato ucciso perché lottava contro lo sfruttamento.

Martedì, a Genova, arriva una nave carica di braccianti che saranno sfruttati nelle nostre campagne.

Da qui bisogna partire per scrivere un pezzo di storia e decidere quali saranno e non saranno le statue del futuro.


2020 06 09[modifica | modifica sorgente]

"I più vulnerabili sono quelli che non hanno le competenze necessarie" dice il Piano Colao. Parla à voi: giornalisti, insegnanti precari, rider, donne delle pulizie, esternalizzati di organi ordine e grado, tirocinanti con 15 anni di esperienza nei settori più digitali, assegnisti di ricerca, infermieri a cottimo, volontari coatti nei beni culturali con un dottorato, voi che avete dovuto accettare un art-time involontario, voi che continuate a portare avanti l'Italia

Questo è quello che dicono di noi, la soluzione: incentivi per la formazione. In un paese che non investe in istruzione e disprezza il sapere.

Perché a loro avviso siamo incapaci, incapaci in questo paese così dinamico da decenni a cui non sappiamo stare dietro!!

Per il lavoro, i diritti, la dignità, i salari NON c'è nient'altro.

Contro questa roba dovremo esprimere tutta la nostra determinazione. Proporre un radicale stravolgimento delle politiche fin qui adottate e ancora oggi proposte.

Perché a conti fatti, le crisi cambiano, ma il loro governo no.


2020 05 23[modifica | modifica sorgente]

Non riusciremo a difendere quel che resta se non lotteremo per guadagnare tutto quel che manca.

Io di quel 20 maggio 1970 mi porto dietro l'entusiasmo, la forza, la tensione che scatenò per più di un decennio quel sussulto di dignità della classe lavoratrice che lottò senza mezzi termini e ben pochi compromessi per ottenere libertà e democrazia. Sono le parole da cui dobbiamo ripartire se vogliamo uno statuto all'altezza dei tempi. Il conflitto sociale è asprissimo, ma non sono più i lavoratori a determinarlo, bensì la controparte. Non riusciremo mai a difendere quel che resta dello Statuto senza una controffensiva in cui i lavoratori uniti e determinati si riprendono tutto. Non riusciremo a difendere quel che resta se non lotteremo per guadagnare tutto quel che manca. Non basterà pensare all'articolo 18 se questo non vale per tutti i lavoratori, e a nulla servirà mantenere i livelli occupazionali se poi i lavoratori saranno poveri. E non sono poveri perché ci sono i robot, sono poveri perché i rapporti di forza senza lotta impongono salari da fame. Ma con questi salari da fame non avremo quella sicurezza economica per essere liberi, per alzare la testa dentro e fuori i luoghi di lavoro. Non basterà avere un salario se non avremo il potere di incidere sulle scelte aziendali quelle che lasciate in mano ai datori di lavoro socializzano le perdite e privatizzano i profitti. E per poter incidere nelle scelte, dobbiamo sapere, dobbiamo conoscere. Dobbiamo pretendere che ogni lavoratore abbia tutti gli strumenti per capire cosa succedere dentro e fuori il proprio luogo di lavoro.

La realtà ha squarciato il velo di molte retoriche prima tra tutte quella per cui un lavoratore cognitivo ha interessi diversi da una donna delle pulizie. Cottimisti i giornalisti, cottimisti i rider. Esternalizzati gli analisti della sanità, così come gli addetti mensa. Poveri tutti.

E allora se vogliamo riprenderci libertà e democrazia, se vogliamo che queste parole abbiano ancora un significato, dobbiamo prima di tutto pretendere che nessun lavoratore può essere povero, indipendentemente dal tipo di contratto, dal genere, dalla nazionalità, dal regime orario.

Ma tutto questo non arriverà per delega dal cielo. I diritti si conquistano quando la maggioranza lotta per il progresso sociale, senza mezzi termini, senza compromessi, ricordandoci che "uniti si vince anche noi".

E va detto che chi non ci sta, chi non è disposto a lottare perché nessun lavoratore sia povero, sta dall'altra parte della barricata, non c'è alcuna mediazione possibile quando si tratta di spingere in avanti la storia. Bisogna scegliere perché pure sugli spalti o si sta per una parte o per l'altra.


2020 05 20[modifica | modifica sorgente]

All’alba del suo cinquantesimo anniversario, lo Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici si presenta come uno strumento menomato, lacerato dalla bulimia di riforme che si sono succedute a partire dalla fine degli anni Novanta fino ai giorni nostri. Pensare il futuro significa allora decidere in che modo restituire sicurezza sociale e libertà nel e dal lavoro, significa rimettere al centro obiettivi democratici. Lo Statuto del lavoro di domani, quello da costruire oggi, non può esimersi dall’adottare un principio di base: nessun lavoratore può essere povero. Bisognerà bandire tutte le forme di lavoro gratuito o di lavoro non riconosciuto come stage e tirocini, ad inizio durante e a fine carriera lavorativa. Uno Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici all’altezza delle sfide del futuro deve saper immaginare che un manager non può guadagnare più di tre volte quello che guadagna un operaio. Si dirà che è una pazzia! Che non è mai esistita una legge del genere. A chi contesta si dirà che è arrivato il momento per farla.

Tuttavia, un progetto di ricostruzione sociale e politica non può fare a meno delle grandi spinte che, nei secoli e decenni passati, hanno reso tali trasformazioni realizzabili. Sono le grandi mobilitazioni di massa, attorno alle quali il popolo dell’abisso si è unito e risollevato.

2020 05 16[modifica | modifica sorgente]

I giornalisti dell'ANSA in sciopero, oggi e domani.

Riporto la lettera di Leonardo Nesti, copiata dalla bacheca di un grande giornalista dell'ANSA grazie al quale in questi anni abbiamo saputo cosa stesse succedendo in Turchia e non solo, Cristoforo Spinella.

Leggetela questa lettera, perché parla dei giornalisti e parla di noi, cittadini e lavoratori.

Oggi e domani l'ANSA è in sciopero.

Siccome tantissime persone mi stanno chiamando e scrivendo per sapere cosa sta succedendo, ve lo racconto qui, anche perché credo che sia una vicenda che riguarda non solo l'ANSA, non solo il mondo dell'informazione, ma la questione del lavoro in questo momento in Italia.

Quello che leggete sui giornali, sulle agenzie, sui siti d'informazione, è scritto, in larghissima parte, da giornalisti che non hanno nessuna tutela e che spesso sono pagati al di sotto della soglia della povertà. E, a differenza di quello che avveniva qualche anno fa, senza nessuna prospettiva realistica per il futuro. Per un'azienda, nei momenti di difficoltà economica, la cosa più semplice da fare è attaccare i più deboli e i più poveri ed è per questo che il management dell'ANSA (che è una cooperativa degli editori italiani) ha proposto di tagliare di un quarto il loro stipendio, oltre a una serie di altre misure che minerebbero la funzionalità e l'essenza stessa dell'agenzia.

Ieri, al termine di un'assemblea bellissima, la più partecipata della storia dell'ANSA, dove grazie allo streaming tutti hanno potuto portare un contributo, da Mosca a Palermo, da Washington a Nuova Delhi, io e i mei colleghi abbiamo deciso che ci sono cose che, semplicemente, non si possono accettare.

Andiamo incontro a una crisi economica della quale intravediamo appena i contorni. In ogni settore a essere messi in discussione per primi sono i (pochissimi) diritti dei più deboli. E, in linea di massima, di una generazione che i diritti se li è visti sfilare da sotto al naso uno a uno. Quando questo avviene in un settore delicatissimo come l'informazione, soprattutto quella primaria, a essere messo in discussione però è anche il diritto dei cittadini a sapere, in maniera chiara e corretta, quello che sta succedendo intorno a loro.

Questa emergenza ci ha già insegnato alcune cose: che internet può aiutarci a lavorare meglio, a spostarci meno, a scegliere meglio le parole che usiamo. Sarebbe bello che ci insegnasse anche che il libero mercato non ha la capacità di sistemare tutto, che dai diritti dei più deboli dipendono i diritti di tutti e che avere un'opinione pubblica che si nutre di balle, spesso diffuse ad arte, è la cosa che più di ogni altra può condizionare chi deve prendere le decisioni che riguardano la nostra vita.

Intanto, e di questo sono molto orgoglioso, ai giornalisti dell'ANSA ha ricordato che combattere per la giustizia, per i diritti e per la libertà, in alcuni momenti, è l'unica cosa che si può fare.


2020 04 16[modifica | modifica sorgente]

La questione è sempre la stessa: la domanda di lavoro c'è, ma il lavoro non si vuole retribuire. Non è la prima volta e non sarà l'ultima. Oggi Bonaccini, quelli dell'argine alla destra, del buon governo, propone di mandare a lavorare in agricoltura chi percepisce il RDC. Visto e vissuto: volontariato coatto per gli immigrati, baratto amministrativo sono da anni fenomeni istituzionalizzati nel nostro paese. Mentre la proprietà delle filiere alimentari sta moltiplicando fatturati e profitti, si chiede non di redistribuire ma di aumentare le disuguaglianze tra chi percepisce profitti e chi salario (s percepisce). Questo è governo delle cose in questa fase storica, queste sono le scelte a favore di una classe e contro un'altra classe - la nostra.

Non c'è niente di nuovo. Come non c'è niente di nuovo nel fatto che senza lavoro non avremo cosa mangiare, come vestirci, come curarci. Il lavoro come atto di trasformazione di beni in altri beni e servizi è il fondamento della società, come poi viene diviso, controllato, remunerato quello attiene ai rapporti sociali dentro la società.

Ripartiamo da qui per cominciare a pretendere che il potere decisionale sulle questioni, sulle fasi 2,3, n.. sia in mano a chi crea valore con obiettivi antitetici all'accumulazione di profitti.

Bonaccini è coerente con la sua storia politica, sa da che parte sta. Noi?

[PS: io non ho capito perché non ci vanno loro oppure tutti quelli che hanno chiesto i 600 euro nonostante abbiano conti correnti con più di 30 mila euro. Giusto per provare l'effetto che fa]

2020 04 14[modifica | modifica sorgente]

Siamo quella generazione che non ha mai vissuto una cosa così destabilizzante, improvvisa, dirompente, pervasiva. Ce lo diciamo da settimane. Qualcosa che ha bisogno di una ricostruzione. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha nominato da giorni una task force che si dovrà occupare di consigliare il premier Conte sul "che fare?" della Fase 2.

E io voglio dire una cosa. Voglio dire innanzitutto che nessuna task force che deve intervenire sulla produzione e quindi sul mondo del lavoro può essere composta in assenza di una rappresentanza dei lavoratori. Poi voglio dire che una task force in una democrazia deve confrontarsi col Parlamento, non con il governo. Perché fino a prova contraria siamo una democrazia parlamentare. Poi vorrei dire che in una ricostruzione ci vogliono eserciti di informatici, ingegneri, agronomi, sindacalisti, medici, insegnanti, economisti, storici, sociologi, ci vogliono una miriade di figure ma non di figurine. Non basteranno "i saggi" o "i tecnici" a valutare i modellini che non funzionano manco nei video games, anzi saranno deleteri. E questi sono soggetti che noi dobbiamo pretendere che queste migliaia di persone rimangano dentro l'amministrazione statale pure nella fase 3 e nella fase n-esima. Voglio dire, sì, che è davvero fumo negli occhi giocare al "indovina chi" manca, ognuno secondo le sue categorie. Ma soprattutto voglio dire che ci dovrebbe preoccupare che la stragrande maggioranza (togli Mazzucato e in parte Giovannini) di questi nominati hanno una visione terrificante della società e di come la vorrebbero: sono quelli che da anni auspicano la privatizzazione della sanità, le gabbie salariali, la flessibilizzazione del mercato del lavoro, gli incentivi alle imprese senza chiedere nulla in cambio. Sono quelli che pensano che l'economia si sviluppi lungo gli incentivi individuali e la libertà incondizionata delle imprese. Ora, a me questo scenario terrorizza e eviterei di farmi trascinare dalle emozioni per discuterne. Perché qui la pelle ce la rischiamo noi, nella fase 2 e nella fase ennesina.


2020 03 22[modifica | modifica sorgente]

Non basterà indignarsi contro Confindustria. Bisognerà combatterla come avversario politico. Oggi chiedono ancora di ritardare le chiusure di attività non essenziali. I loro profitti davanti al nostro diritto alla salute, alla vita, a una vita che possa avviarsi verso un sentiero di stabilità in cui prevalgano i nostri diritti piuttosto che i loro squallidi profitti. Lo diceva bene Simone durante la discussione di oggi pomeriggio: il loro tentativo politico è quello di salvare le loro strategie di accumulazione, scaricando sulla democrazia tutti i costi. Proveranno a salvare la loro incapacità come privati sfruttando le debolezze politico-amminsitrative. Lo stato c'è se reagisce contro questi tentativi di destabilizzazione democratica. Noi, oggi ci fissiamo bene in mente questi meccanismi e continuiamo a coltivarne gli anticorpi. Costi quel che costi.



Proviamo a spingere un po' in là il ragionamento.

Confindustria non è tutte le imprese di questo paese, non rappresenta il piccolo che ha il negozio e che resiste ogni giorno alle grandi multinazionali. Confindustria non è molte delle piccole o micro imprese, alcune pure innovative. Non è neppure l'idraulico che arriva se abbiamo bisogno. Confindustria rappresenta un pezzo, spesso fatto da medie e grandi imprese che quando vogliono poi escono e cambiano i contratti collettivi, delocalizzano, portano le sedi nei paradisi all'estero. Rappresenta un pezzo. La tenuta democratica di questo paese non può essere messa a repentaglio dagli interessi dei pochi. Fuori da quella minoranza ci sono anche piccole imprese e le ditte individuali. Ci sono quelli che devono pagare gli affitti esorbitanti per rimanere aperti - no, non ci scordiamo il nero, ma stiamo sul punto di oggi, per qualche minuto. Sono quelli che falliscono più facilmente, quelli che soccombono allo strapotere di Amazon o di altri grandi gruppi, di un modello produttivo che sempre tende a concentrare capitale e proprietà. Sono le stesse aziende che vivono di domanda interna, dei nostri consumi. Quindi oggi politicamente c'è un pezzo di Italia che ha bisogno delle stesse cose (reddito e blocco dei costi fissi), mentre ce n'è una più piccola che ha altri interessi. La formazione politica nella contingenza storica si forma così, non è data in natura. A questo pezzo maggioritario oggi serve sicurezza economica: serve bloccare gli affitti (degli inquilini e degli esercenti), serve bloccare i mutui, ma anche i pagamenti delle strumentazioni. E serve reddito, oggi per andare avanti, domani per far ripartire le produzioni. L'idraulico, il piccolo commerciante che oggi rischia perché pensa di essere solo e non poter tirare avanti è in uno stato di fragilità non dissimile da molti di noi. Il piccolo corriere che domani si rimette in strada perché non può farne a meno, lo fa perché ha una necessità materiale non garantita altrimenti. Se è vero che la politica è governo anche del contingente, come ci insegna quel buon vecchio, guardiamo al reale e costruiamo il possibile.

2020 02 10[modifica | modifica sorgente]

L'ignoranza del megafono del potere!

Continuano a dirci che non ci sono i soldi neppure per redistribuire perché non si possono toccare le risorse di chi ne ha sempre di più. La giustificazione ideologica è che se tassiamo i ricchi allora questi smetteranno di impegnarsi e lavorare.

L'accademia ha smetito queste teorie. “Scusi, quale accademia?”, scambiandola per un club esclusivo del lungotevere! [Cascano le braccia sì]

E non è vero neppure che abbiamo bisogno di un tasso di diseguaglianza necessario e che garantendolo avremo tutti di più attraverso lo sgocciolamento di risorse dall'alto verso il basso – appunto la trickle down theory. Apriti cielo! Eccoti tacciata di tecnicismo, quando loro per decenni hanno basato le scelte economiche usando proprio su queste teorie. Di nuovo, ampiamente smentite. Però se lo spieghi allora non va bene, perché la gente non deve capire, la gente deve tenersi le loro opinioni da bar, come e fossero neutrali iscritte nellel leggi della natura.

Ci vuole tanta pazienza, ma ancor più determianzione!

Questo è un cancro contro cui dobbiamo lottare ogni giorno: usare la conoscenza e il rigore per smentirli, sempre! Spiegare con lo stesso rigore che l'alternativa esiste ed è quella che antepone la maggioranza alla minoranza della società. Ma soprattutto dobbiamo smettere di pensare che la maggioranza non abbia le capacità intellettuali per capire! Noi dobbiamo lottare affinché I lavoratori e le lavoratrici possano soddisfare le proprie esigenze materiali così come quelle intellettuali. Non è retorica, è un'urgenza per annientare questa arroganza ignorante, per rifondare il senso comune, per non farci abbindolare da chi ci ha massacrato per decenni e vuole continuarlo a fare.

E questa è politica, una battalgia politica urgente, necessaria.

2019 12 04[modifica | modifica sorgente]

A me non fa quasi nè caldo nè freddo che Marattin, sì lui- il renziano di ferro quello dei controlli di identità sui social per citare l'ultima - mi insulti. E' cifra che non sa reggere un dibattito e ha bisogno di questo per legittimarsi. Lascia il tempo che trova e per ogni Marattin, quello che io so è che ci sono centomila lavoratori afoni, a cui bisogna restituire voce, spiegare in che modo le politiche e quindi anche la riforma del MES li riguarda. E non sorprende se chi difende gli interessi e i privilegi di pochi contro questa maggioranza, fatta di lavoratori e lavoratrici, sbraiti contro di me. L'hanno sempre fatto anche quando per anni gli abbiamo dimostrato che giocavano con le nostre vite sbandierando nuleri sul lavoro che non esistono. Però perseverano perché sanno che a loro i microfoni li tengono aperti. Perché di questo si tratta. [nei commenti lascio che sia Emiliano Brancaccio a rispondere agli insulti di Marattin e metto pure il video dell'intervento che non riesco a caricare.].

Quello che però non siamo più disposti a fare è sbatterci, rinunciando allo stipendio quando andiamo in tv e non lavoriamo, per sederci in un talk show senza aver la possibilità di parlare e di rispondere a uno che ci insulta dandoci degli analfabeti (sempre Marattin eh), mentre a questi che fanno comizietti da cabaret li si lascia fare il bello e il cattivo tempo. E io stamattina dopo 40 minuti mi son alzata e son andata via. Non è maleducazione, è dignità. È dire che noi non ci stiamo a fare le comparse di questo cabaret. Se i lavoratori non hanno una rappresentanza è proprio perché non si lascia che si parli dei lavoratori, delle loro condizioni reali. È più facile pensarli sempre addomesticabili o ignoranti, belli solo quando non chiedono niente ma obbediscono.

Perà la realtà è un'altra, infatti quando esci dallo studio la prima cosa che trovi davanti a te è un lavoratore che invece ha voglia di parlare di quanto male si lavori, di quanto poco si guadagni, di quanto gli appalti siano ormai invasivi e fuori controllo. E di quanto non bisogna mai arrendersi. Così te ne vai con la coscienza pulita, con la dignità attaccata addosso e con un grande senso di responsabilità che ti porta a prendere ancora un treno e andare a fare la presentazione di Basta salari da fame

2019 11 15[modifica | modifica sorgente]

Leggetele queste voci potenti, allenate a battere i tamburi del monarca di turno! Mattia Feltri oggi inveisce contro il sindaco del paese reo di aver suggerito agli studenti di non cedere alle promozioni di Amazon perché dietro il luccichio di quegli sconti si nasconde lo sfruttamento di centinaia di migliaia di lavoratori e al tempo stesso il crollo delle attività locali. Niente più che buon senso. Ma Feltri ci tiene a suggerire che questo è un discorso <<scalcinato e suicida>> perché questi cambiamenti, detti rivoluzioni industriali hanno sempre portato benessere e ricchezza. Ma non ci spiega per chi, si guarda bene dal dire che l’aumento delle disuguaglianze colpisce potentemente noi, la maggioranza arricchendo i pochi come Jeff Bezos e qualche manager. E allora sì, cari studenti: studiate, studiate tantissimo. Studiate anche tutto quello che non vi chiedono di studiare, studiate il rapporto uomo macchine nel suo significato più profondo e cioè come il potere dell’uomo sull’uomo è potere delle macchine sull’uomo quando questo potere è in mano ai pochi. Studiate tutto quello che c'è da sapere sul ruolo della tecnologia e della struttura occupazionale, come cambia il alvoro, la sua organizzazione, la democrazia interna ai luoghi di lavoro. E incalzate i Feltri di turno. Studiatele tutte le rivoluzioni, soprattutto quelle che hanno fatto la Storia, quelle in cui l’interesse della maggioranza era davvero posto al centro del conflitto.

Studiate Raniero Panzieri, Morozov, Burawoy e Bravermann, Aris Accornero, Sergio Bologna, studiate Thomas Coutrot, studiate studiate Marx, Lenin. Perché allroa sì, quando avremo studiato i Mattia Feltri non avranno più posto su questa terra.

2019 11 11[modifica | modifica sorgente]

Ho ricevuto diversi messaggi di lavoratori oggi. Tra loro, uno mi ha raccontato la sua storia lavorativa degli ultimi anni di appalto in appalto nella sanità, inviandomi tutti i documenti dell'appalto compresa la sua busta paga di 750 euro lordi per 121 ore lavorate. A lui col nuovo appalto hanno applicato il contratto SAFI - Servizi Ausiliari, Fiduciari e Integrati, firmato dalla UIL e alcune associaizoni datoriali, che prevede un compenso orario lordo di 6,181 euro. Questo non è un contratto pirata e l'ente in cui il lavoratore presta servizio è una Asl. Io non l'ho ancora capito quanti sono gli esternalizzati nella PA, ma anche fosse uno solo credo che bisognerebbe opporsi senza tregua. Nonc'è compromesso possibile di fronte a una simile barbarie, non c'è nessuna possibile retorica ammissibile.

Io li ringraizo ogni giorno questi lavoratori che mi scrivono, a volte non ho il tempo di seguirli, non rispondo, lavoro anceh io e le ore finsicono. Però ecco, sono i nostri vicini di casa, sono el persone che ci accolgono al pronto soccorso che poi ci curano, sono le persone che incontriamo sulla banchina della metro e magari al sueprmercato. La questione salariale è una battalgia che riguarda tutti e abbiamo bisogno di tutti gli strumenti per vincerla.


Seppure mediata da uno schermo, guardare in faccia Tiziano Treu e dirgli che è tra i responsabili della nostra precarietà, dei nostri salari da fame non ha prezzo. Ma dirgli anche che è giunto il momento di smetterla di raccontarci che se l'economia non cresce non possiamo pagare i lavoratori e che quelli che lui chiama "paletti" sono diritti, inalienabili. E' quello che spieghiamo in Basta salari da fame presentato oggi a Tagadà su La7. Certo, uno si deprime un po' ad ascoltare chi dice che sbloccare il turnover nella PA è una disgrazia che peserà sul debito, ignorando che il lavoro nella PA è garanzia a soddisfacimento dei bisogni a cui i servizi sono diretti: sanità, istruzione, mobilità, casa, strade, smaltimento rifiuti, avvocatura ecc. Bisogna esser davvero in malafede o troppo benestanti per insultare quella maggioranza di lavoratori e lavoratrici che lavorando rendono la nostra vita dignitosa.

20191014[modifica | modifica sorgente]

Di clausole sociali, sistemi di bonus/malus negli appalti, cioè la patente a punti di cui dice Landini oggi, se ne parla da decenni. Fu al mio primo stage al centro studi di Consip tra il 2007 e 2008 che iniziai ad occuparmi del tema. E' un tema potente, si discuteva di come applicarlo a tutto negli appalti: lavoro, ambiente, tecnologia, responsabilità totale dell'appaltatore. Però dobbiamo dirci una cosa: finché la produttività da cui dipendono gli aumenti salariali contrattati nel secondo livello dipende anche delle assenze per malattia, dagli infortuni, saranno gli stessi lavoratori a non denunciarli per portare a casa quel poco di salario che gli è concesso. La libertà nel lavoro, la possibilità di introdurre sistemi che vadano realmente a favore dei lavoratori, va sganciata dal ricatto. E per farlo bisogna sgancaire i salari dalla produttività, da tutti gli indicatori che nell'organizzazione del alvoro mettono a repentaglio le condizioni di vita e di lavoro a favore dei profitti. Perché ricordatevelo, la produttività che è maggior sfruttamento non è mai distribuita per intero e noi dal canto nostro dobbiamo rifiutarla a prescindere perché se c'è una cosa da cui dobbiamo emanciaprci è proprio lo sfruttamento.

PS: questo non vuol dire che non bisogna essere molto ma molto più duri nel pretendere dalle imprese sorpattutto ma non solo negli appalti. Vuol dire che è finito il tempo di mettere pezze che si bagnano presto per provare a risolvere questioni serie e ben profonde.

2019 07 11[modifica | modifica sorgente]

Anche Basta!

Basta lavoro gratuito, Basta lavoro pagato a pacchetti di caramelle Basta spacciare la nostra fatica per un po' di divertimento Basta un paese dove la stragrande maggioranza degli eventi culturali poggiano sulle spalle del lavoro gratuito; del lavoro a scontrini, del lavoro a gadget, del lavoro a pacche sulle spalle.

Pagare un lavoratore con un biglietto, pure se del tuo cantante preferito, una cena al sacco e un gadget è umiliante.

Non dovremmo eprmettere che sia così, mai!

Perché forse ci siamo distratti un attimo, ma per ogni volontario, magari giovane, magari che si gode almeno il concerto c'è un lavoratore che rimarrà solo, c'è un diritto che viene barattato.

E allora diciamo che noi vogliamo essere pagati sempre e poi scegliere a quale concerto andare, pagando o meno il biglietto.

Anche Basta!


2019 06 29

E ci svegliamo con l'arresto di Carola Rackete. Ci siamo indignati eppure Indignarci non ci toglie di dosso questa insofferenza, questo fastidio nervoso che ci accompagna durante la giornata. questo "no, non è possibile". Per me è il sintomo che bisogna fare di più, che rimanere qui a scriverne non basta.

Servirebbe indire uno sciopero generale: lui arresta Carola Rackete, noi blocchiamo il paese.

E' una cosa che si può fare, i sindacati possono farlo, fabbrica per fabbrica, call center per call center, ufficio per ufficio, negozio per negozio, magazzino per magazzino.

Le prime ore saremo pochi probabilmente, ma bisognerà resistere e bisognerà coinvolgere tutti.

E a volte serve una scossa, serve un espediente.

Salvini usa la Sea-Watch a uso e consumo della sua bulimia mediatica, a noi di dimostrare che queste sono le nostre vite. Perché l'arresto di Carola non è che l'esempio di quel che succederà ad ognuno di noi quando proverà a scendere in piazza, quando proverà a denunciare le condizioni di merda in cui è costretto a vivere. Saremo arrestati, saremo schedati, avremo i fogli di via. Perché questo è il decreto sicurezza perché renderci delle amebe da social è un obiettivo strategico, ma forse un po' di dignità l'abbiamo ancora e bisogna dimostrarlo ora.

+++ Faccio un'aggiunta che mi pare necessaria: Bloccare il paese non sarebbe solo un segnale contro l'arresto, contro la repressione. Sarebbe il segnale che mentre noi abbiamo il 14% di lavoratori poveri, 3 morti al giorno sul lavoro, mentre alle aziende regalano miliardi e a noi tagliano la sanità, la politica pensa di annichilirci sfruttando 42 poveri cristi e una donna capitano della nave. Fine dispaccio ++++

2019 06 09

Potremmo sottrarci al cabaret istituzionale e riconoscere che il punto delle parole di Salvini non è sui 60milioni di figli, ma che questi siano da sfamare. Salvini porta avanti una retorica interclassista e paternlista tutta falsa: le politiche di Salvini affamano lavoratori e lavoratrici, disoccupati, studenti mentre sfamano quella borghesia che ha bisogno di appalti al massimo ribasso per campare, che brama la flat tax per pagarsi le vacanze al prossimo club med, per brindare a champagne il prossimo subappalto vinto.

Noi per sfamarci abbiamo bisogno di reddito, di aumento dei salari, di sanità e istruzione pubbliche e universali, di case, di treni regionali, di trasporto pubblico locale, di spazi liberi.

Noi siamo solo figli della stessa rabbia!


Cit. "Che fare"

Ed ecco cosa appare necessario fare immediatamente, ecco quale deve essere l’«inizio» del lavoro per la classe operaia: bisogna fare una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare dal domandarsi perché abbiamo perduto, chi eravamo, cosa volevamo, dove volevamo arrivare. Ma bisogna prima fare anche un’altra cosa (si scopre sempre che l’inizio ha sempre un altro... inizio): bisogna fissare i criteri, i princípi, le basi ideologiche della nostra stessa critica.

Ha la classe operaia la sua ideologia? Perché i partiti proletari italiani sono sempre stati deboli dal punto di vista rivoluzionario? Perché hanno fallito quando dovevano passare dalle parole all’azione? Essi non conoscevano la situazione in cui dovevano operare, essi non conoscevano il terreno in cui avrebbero dovuto dare la battaglia. Pensate: in più di trenta anni di vita, il partito socialista non ha prodotto un libro che studiasse la struttura economicosociale dell’Italia. Non esiste un libro che studi i partiti politici italiani, i loro legami di classe, il loro significato. Perché nella Valle del Po il riformismo si era radicato così profondamente? Perché il partito popolare, cattolico, ha più fortuna nell’Italia settentrionale e centrale che nell’Italia del sud, dove pure la popolazione è più arretrata e dovrebbe quindi più facilmente seguire un partito confessionale? Perché in Sicilia i proprietari terrieri sono autonomisti e non i contadini, mentre in Sardegna sono autonomisti i contadini e non i grandi proprietari? Perché in Sicilia e non altrove si è sviluppato il riformismo dei De Felice, Drago, Tasca di Cutò e consorti? Perché nell’Italia del sud c’è stata una lotta armata tra fascisti e nazionalisti che non c’è stata altrove? Noi non conosciamo l’Italia. Peggio ancora: noi manchiamo degli strumenti adatti per conoscere l’Italia, cosi com’è realmente e quindi siamo nella quasi impossibilità di fare previsioni, di orientarci, di stabilire delle linee d’azione che abbiano una certa probabilità di essere esatte. Non esiste una storia della classe operaia italiana. Non esiste una storia della classe contadina. Che importanza hanno avuto i fatti di Milano del ’98? Che insegnamento hanno dato? Che importanza ha avuto lo sciopero generale di Milano del 1904? Quanti operai sanno che allora, per la prima volta, fu affermata esplicitamente la necessità della dittatura proletaria? Che significato ha avuto in Italia il sindacalismo? Perché ha avuto fortuna tra gli operai agricoli e non fra gli operai industriali? Che valore ha il partito repubblicano? Perché dove ci sono anarchici ci sono anche repubblicani? Che importanza e che significato ha avuto il fenomeno del passaggio di elementi sindacalisti al nazionalismo prima della guerra libica e il ripetersi del fenomeno su scala maggiore per il fascismo? Basta porsi queste domande per accorgersi che noi siamo completamente ignoranti, che noi siamo disorientati. Sembra che in Italia non si sia mai pensato, mai studiato, mai ricercato. Sembra che la classe operaia italiana non abbia mai avuto una sua concezione della vita, della storia, dello sviluppo della società umana. Eppure la classe operaia ha una sua concezione: il materialismo storico; eppure la classe operaia ha avuto dei grandi maestri (Marx, Engels) che hanno mostrato come si esaminano i fatti, le situazioni, e come dall’esame si traggano gli indirizzi per l’azione. Ecco la nostra debolezza, ecco la principale ragione della disfatta dei partiti rivoluzionari italiani: non avere avuto una ideologia, non averla diffusa tra le masse, non avere fortificato le coscienze dei militanti con delle certezze di carattere morale e psicologico. Come maravigliarsi che qualche operaio sia divenuto fascista? Come maravigliarsene se lo stesso S.V. dice in un punto: «chi sa mai, anche noi, persuasi, potremmo diventare fascisti»? (Queste affermazioni non si fanno neppure per scherzo, neppure per ipotesi di propaganda.) Come maravigliarsene, se in un altro articolo, dello stesso numero della Voce, si dice: «Noi non siamo anticlericali»? Non siamo anticlericali? Che significa ciò? Che non siamo anticlericali in senso massonico, dal punto di vista razionalistico dei borghesi? Bisogna dirlo, ma bisogna dire che noi, classe operaia, siamo anticlericali in quanto siamo materialisti, che noi abbiamo una concezione del mondo che supera tutte le religioni e tutte le filosofie finora nate sul terreno della società divisa in classi. Purtroppo... la concezione non l’abbiamo, ed ecco la ragione di tutti questi errori teorici, che hanno poi un riflesso nella pratica, e ci hanno condotto finora alla sconfitta e all’oppressione fascista.

L’inizio... dell’inizio! Che fare dunque? Da che punto incominciare? Ecco: secondo me bisogna incominciare proprio da questo; dallo studio della dottrina che è propria della classe operaia, che è la filosofia della classe operaia, che è la sociologia della classe operaia, dallo studio del materialismo storico, dallo studio del marxismo. Ecco uno scopo immediato per i gruppi di amici della Voce: riunirsi, comprare dei libri, organizzare lezioni e conversazioni su questo argomento, formarsi dei criteri solidi di ricerca e di esame e criticare il passato, per essere più forti nell’avvenire e vincere. La Voce dovrebbe, in tutti i modi possibili, aiutare questo tentativo, pubblicando schemi di lezioni e di conversazioni, dando indicazioni bibliografiche razionali, rispondendo alle domande dei lettori, stimolando la loro buona volontà. Quanto meno finora si è fatto, tanto più è necessario fare, e con la massima rapidità possibile. I fatti incalzano: la piccola borghesia italiana, che aveva riposto nel fascismo le sue speranze e la sua fede, vede quotidianamente crollare il suo castello di carta. L’ideologia fascista ha perduto la sua espansività, perde anzi terreno: spunta nuovamente il primo albore della nuova giornata proletaria.

Tratto da Che Fare, 1923

Collegamenti[modifica | modifica sorgente]

Indice