O.D.

Da const.




Qualche anno fa ho avuto l'opportunità di collaborare ad un censimento dei senzatetto di Milano. Intervistando personalmente alcuni di loro sono emersi diversi aspetti che li accomunavano: 1) erano persone normalissime, con storie normalissime fino al momento in cui avevano perso un lavoro o un caro che li sosteneva; 2) erano in un loop di povertà assoluta da anni e anni, senza alcuna possibilità di rialzarsi proprio perché senza tetto ("quando il tuo indirizzo è quello della Caritas il datore di lavoro pensa che non si può fidare di te"). Qui io vedo un fallimento della società come assicurazione. Staremmo tutti paretianamente meglio se avessimo offerto un aiuto temporaneo ad uno shock temporaneo. La coesione sociale in fondo si poggia su questi due pilastri: 1) in quanto partecipanti al gruppo, siamo sempre idonei a ottenere un aiuto nel caso di shock negativi; 2) in quanto idonei non ne abusiamo. Mi è capitato di incontrare qualcuno che mi diceva di aver preso il REI e di aver respirato un po', ma l'amara verità è che questi strumenti arrivavano troppo tardi. Gli aspetti fondamentali sono la tempistica e la mentalità con le quali si approccia la povertà. Se gli aiuti non sono 1) immediati; 2) temporanei; 3) costruttivi è tutto tragicamente inutile.



Il problema del welfare state moderno, in particolare per paesi come l'Italia, è che aiuta i gruppi che sono politicamente più organizzati/vocali, invece di quelli più bisognosi (I.e., non è "politically neutral").