Pierluigi Roesler Franz
Ordine del giorno presentato dalla minoranza e bocciato dal Consiglio Generale INPGI il 29 aprile 2021: "Garanzia pubblica per le pensioni dei giornalisti italiani, senza l’ingresso nell’Inps. Noi la chiediamo da molto tempo, di fronte al disastro dell’Inpgi. E la riteniamo ora ancora più indispensabile per la sopravvivenza dell’Istituto e la difesa delle pensioni dei giornalisti italiani alla luce del bilancio 2020 che getta dubbi sulla possibilità di continuità aziendale del nostro Ente oltre il brevissimo periodo. La Costituzione garantisce il diritto della pensione per tutti i lavoratori. Il comma 2 dell’articolo 38 parla chiaro: «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria». E al comma 4 si aggiunge: «Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato». Si tratta di uno dei principi cardine del welfare di Stato, quel sistema di sicurezza sociale che si esprime attraverso l’assistenza e la previdenza, appunto. E che, come norma suprema, non può certo essere smentito o sminuito da qualsiasi altra legge successiva. Nel 1994, con il decreto legislativo 509, l’Inpgi ha avviato il processo di privatizzazione concluso a inizio 1995, insieme con altre Casse previdenziali, tutte di professionisti che esercitavano (ed esercitano) la libera professione: dai medici agli avvocati, dai notai ai farmacisti, a ingegneri e architetti. L’Istituto dei giornalisti dipendenti era un’anomalia. E tale è rimasta, come è stato riconosciuto anche da diverse sentenze della Corte Costituzionale. Da allora la nostra categoria è l’unica, tra i lavoratori dipendenti italiani, ad aver rinunciato alla garanzia pubblica. L’Inpgi ha iniziato da oltre un decennio a registrare entrate previdenziali inferiori alle uscite: nel 2010 per la prima volta i contributi correnti (esclusi quindi quelli per anni precedenti o per altri motivi) sono stati inferiori alla spesa corrente per le pensioni, e poi sempre e sempre più in tutti gli anni successivi. Invece di reagire con prontezza, si è preferito salvare (fino al 2016) i bilanci con la rivalutazione degli immobili, varare riforme dure quanto tardive e inutili e, infine, individuare l’ingresso dei comunicatori come unica soluzione, senza voler prendere in considerazione alcuna altra ipotesi per mettere in sicurezza le pensioni dei giornalisti italiani. La Corte dei conti ha per esempio sollecitato l’ampliamento della platea giornalistica, e anche noi lo abbiamo più volte sollecitato in varie sedi di consiglio generale e di commissioni. Una verifica avviata in Friuli Venezia Giulia sugli uffici stampa dimostra che ci sono situazioni da sanare e conseguenti versamenti previdenziali che negli anni non si è inteso recuperare, pur con bilanci in rosso. Ma sono al momento finite nel vuoto le sollecitazioni di ripetere l’operazione in altre regioni. Avere una garanzia pubblica non significa affatto perdere l'autonomia della professione (ma da quando in qua è un Istituto di previdenza a tutelare la libertà dei giornalisti?) e neppure avere maggiori controlli. Dal 1951, con l’entrata in vigore della legge Rubinacci (che è ancora in vigore insieme con la legge Vigorelli), l’Inpgi ha infatti garantito le prestazioni assistenziali (dal 1981 gli ammortizzatori sociali) e previdenziali dei giornalisti pur essendo indipendente dall’Inps. Anzi, rispetto a oggi era addirittura meno “vigilato” e con vincoli meno rigidi. La riserva tecnica, solo per fare un esempio, era limitata a 2 anni delle pensioni correnti rispetto ai 5 anni di oggi. È oggi ancora più evidente che l’ingresso dei comunicatori, anche unito a nuovi, dolorosi tagli alle prestazioni, non è e non può essere in grado da solo di garantire nel breve periodo un ritorno agli utili per i bilanci dell’Inpgi, evitando quindi il commissariamento, e neppure una sostenibilità nel medio-lungo periodo. Vi chiediamo quindi di sostenere, tutti insieme, di fronte al governo e alla politica, la richiesta di una garanzia pubblica che, insieme con il patrimonio di cui ancora l’Inpgi dispone, possa mettere al sicuro le nostre pensioni, quelle di oggi e quelle di domani."
Ecco che dice la legge Rubinacci del 1951 che potrebbe ora rappresentare la ciambella di salvataggio dell'INPGI 1 perché, essendo rimasta in vigore da 70 anni nonostante la privatizzazione dell'ente nel 1994, lo rende per effetto dell'art. 1 l'unico ente sostitutivo dell'INPS in Italia, garantendogli così una sostanziale copertura pubblica in base all'art. 38 della Costituzione. Purtroppo questa legge é oggi semisconosciuta sia da moltissimi colleghi, sia soprattutto dai politici che continuano ad ignorarla e a parlare a vanvera. Per effetto, invece, dell'art. 2 l'INPGI 1 avrebbe poi dovuto incassare dagli editori dal 1951 al 2016 circa 1 miliardo di euro. Ma per 65 anni questa norma é stata disattesa dagli editori che hanno versato i contributi in misura largamente inferiore a quella che avrebbero dovuto pagare all'INPS. Ma nessuno a livello politico ministeriale ha avuto mai nulla di ridire su questo enorme regalo concesso alla FIEG, preferendo chiudere gli occhi. LEGGE 20 dicembre 1951, n. 1564 - Previdenza ed assistenza dei giornalisti (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 13 del 16 gennaio 1952 a pag. 190) https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1952/01/16/13/sg/pdf Art. 1. La previdenza e l'assistenza attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani "Giovanni Amendola" riconosciuto con regio decreto 25 marzo 1926, n. 898, nelle forme e nelle misure disposte dal suo statuto e dal regolamento a favore dei giornalisti iscritti all'Istituto stesso, sostituiscono a tutti gli effetti, nei confronti dei giornalisti ad esso iscritti, le corrispondenti forme di previdenza e di assistenza obbligatorie. Art. 2. Le misure dei contributi dovuti all'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani "Giovanni Amendola" dai datori di lavoro per i giornalisti da essi dipendenti e le prestazioni che l'Istituto é tenuto ad erogare a favore dei propri iscritti non possono essere inferiori a quelle stabilite per le corrispondenti forme di previdenza e di assistenza obbligatorie. Il regolamento previsto dallo statuto dell'Istituto dovrà essere uniformato alle disposizioni della presente legge entro il termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge stessa. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserta nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addi' 20 dicembre 1951 EINAUDI DE GASPERI - RUBINACCI - ZOLI - VANONI Visto, il Guardasigilli: ZOLI