Sentenza Cassazione sez. Lavoro Civile n. 17892 del 1 aprile 2014

Da const.


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< Sentenze >




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente

Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere

Dott. D'ANTONIO Enrica - Consigliere

Dott. TRIA Lucia - Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA

sul ricorso 14980-2011 proposto da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI PERITI COMMERCIALI C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), BERETTA GIOVANNI, giusta procura speciale notarile in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti (atto di costituzione del 09/01/2012);

- resistente con mandato -

avverso la sentenza n. 636/2010 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 11/03/2011 R.G.N. 834/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/04/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Padova, (OMISSIS) ha dedotto: - di avere presentato il 25.6.2004 domanda di pensione di vecchiaia alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore di Ragionieri e Periti Commerciali (CNPR); - che con lettera del 26.12.04, la Cassa gli aveva comunicato di avere erogato in suo favore la pensione provvisoria dell'importo annuo di euro 52.124, 22; - che l'importo della pensione era stato calcolato sulla base dei parametri stabiliti dall'articolo 50 del regolamento di esecuzione della Cassa con riferimento alla media degli ultimi 24 redditi professionali e non invece degli ultimi 16, come stabilito dal D.I. 29 gennaio 2001; - che il ricorso amministrativo era stato respinto; - che con successiva deliberazione, la Cassa aveva liquidato la pensione annua definitiva pari ad euro 58.191,25, includendo il reddito del 2003; - che per effetto della utilizzazione di questi parametri, la propria pensione era stata decurtata di euro 14.350,49 annui; - che la Delib. della Cassa era stata emessa in violazione di legge, essendo diretta a ridurre il trattamento pensionistico spettante in base alle norme di legge ed in particolare alla Legge n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12 e al principio del pro rata. Chiedeva quindi che, previa declaratoria di illegittimita' del criterio di calcolo adottato dalla Cassa, la resistente venisse condannata al pagamento della ulteriore somma annua di euro 14.350,49 o, in via subordinata, al pagamento della quota di pensione risultante dall'applicazione del criterio del pro rata, oltre agli accessori del capitale sui ratei maturati.

La Cassa si costituiva deducendo: - che il principio del pro rata deve necessariamente coesistere con il livello di autonomia della previdenza privatizzata stabilito dalla Legge n. 335 del 1995, articolo 3 potendo essere derogato tutte le volte in cui non sia possibile frazionare l'anzianita' assicurativa e contributiva; - che per le ipotesi di passaggio al sistema contributivo e quindi di riforma strutturale del sistema pensionistico, il principio del pro rata, non essendo enunciato, non poteva trovare applicazione; - che la Cassa aveva quindi applicato le disposizioni derivanti dalla riforma pensionistica dirette alla stabilita' finanziaria della gestione e ispirata ad una maggiore equita' del sistema; - che in ogni caso contestava il quantum della pretesa.

Con sentenza del 17.5.07, il Tribunale condannava la Cassa al pagamento in favore del ricorrente della pensione annua lorda corrispondente alla applicazione del principio del pro - rata, per un importo corrispondente ad una somma ulteriore annuale di euro 14.350,49, oltre agli interessi di legge dalla data di maturazione dei singoli ratei al saldo e rifusione in favore del ricorrente delle spese di lite.

Proponeva appello la Cassa; resisteva il (OMISSIS).

Con sentenza depositata l'11 marzo 2011, la Corte d'appello di Venezia rigettava il gravame.

Per la cassazione propone ricorso la Cassa, affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria. La difesa del (OMISSIS) ha depositato procura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve pregiudizialmente affermarsi la nullita' della procura della difesa del controricorrente, in quanto conferita con atto separato diverso da quelli indicati dall'articolo 83 c.p.c., comma 3, posto che l'articolo 125 c.p.c., comma 2, consente il conferimento della procura con atto successivo alla notifica dell'atto introduttivo del giudizio di merito, purche' anteriore alla costituzione della parte rappresentata in giudizio - sicche' e' in tal caso necessario che l'autografia della firma di quest'ultima sia attestata dal notaio, pubblico ufficiale all'uopo autorizzato, mentre e' inidonea, come nella fattispecie, l'attestazione del difensore, perche' tale potere e' previsto soltanto se la procura gli e' conferita in uno degli atti indicati dell'articolo 83 c.p.c., comma 3, (ex aliis, Cass. 26.11.04 n. 22285).

Venendo al merito si osserva.

1. - Con il primo motivo la Cassa ricorrente denuncia la violazione falsa applicazione della Legge n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12, e della Legge n. 414 del 1991, articolo 1. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto rigidamente applicabile il principio del pro rata anche nel caso di radicale riforma strutturale del sistema pensionistico della cassa.

2. - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia e in subordine la violazione e falsa applicazione ancora della Legge n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12, e della Legge n. 414 del 1991, articolo 1. Sostiene che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi sulle censure relative al principio del pro rata e della frazionabilita' della anzianita' contributiva. Contesta in particolare l'affermazione della sentenza impugnata che ha ritenuto l'illegittimita' dell'operato della Cassa riducendo il trattamento pensionistico spettante con riguardo alla proporzione tra contributi e ammontare delle prestazioni. Sostiene che il regolamento della Cassa ha fatto corretta applicazione del principio del pro rata disciplinando il passaggio dal regime retribuivo a quello contributivo.

3. - Con il terzo motivo la Cassa denuncia ancora violazione della Legge n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12, nel testo originario e in quello risultante dalle modifiche introdotte dalla Legge n. 296 del 2006, articolo 1, comma 763. Tale ultima disposizione ha fatto salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti ed approvati dai Ministeri vigilanti prima delle data di entrata in vigore della legge, ossia prima del 1 gennaio 2007. Secondo la Corte veneziana, invece, tale disposizione non renderebbe legittimi gli atti solo perche' adottati prima della sua entrata in vigore, ma ne garantirebbe l'efficacia prolungata nel tempo, se assunti nel rispetto della legge. Secondo la CNPR tale interpretazione finisce per privare la norma di qualsiasi significato utile.

4. - Con il quarto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione. Evidenzia che il diritto a pensione di anzianita' e' stato maturato a far data dal 1 luglio 2003 e che quindi il regime giuridico del trattamento pensionistico era quello vigente successivamente al 22 giugno 2002.

5. - Il ricorso - i cui quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente - e' infondato, come piu' volte affermato da questa Corte in identiche fattispecie (ex plurimis, Cass. 18.4.11 n. 8847; Cass. ord. 7.3.12 n. 3613; Cass. 29.10.12 n. 18556; Cass. n.l3607/12; Cass. n.l8559/12; Cass. n. 18558/12, Cass. n. 18479/12; Cass. nn. 13607/2012, 13613/2012, 13614/2012), ritenendo infondata la tesi della Cassa circa la legittimita' del nuovo testo dell'articolo 49 del regolamento della Cassa medesima, introdotto con la delibera del 22 giugno 2002, la quale aveva determinato il reddito professionale, in base al quale liquidare la pensione, non gia', com'era in precedenza, sulla base "dei quindici redditi professionali annuali dichiarati dall'iscritto ai fini Irpef per gli ultimi venti anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione", ma sulla base della "media di tutti i redditi professionali annuali" col limite che la misura della pensione non potesse essere inferiore all'80% di quella derivante dall'applicazione delle modalita' di calcolo previgenti. In tali pronunce si e' sostanzialmente statuito che in tema di trattamento previdenziale, e' illegittimo il provvedimento di liquidazione della quota retribuiva della pensione (avendo determinato il reddito professionale, su cui liquidare la pensione, non gia' - com'era disposto in precedenza - sulla base "dei quindici redditi professionali annuali dichiarati dall'iscritto ai fini Irpef per gli ultimi venti anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione", ma sulla base della "media di tutti i redditi professionali annuali") perche' effettuato (nella specie sempre dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali) in violazione della regola del "pro rata" di cui alla Legge 8 agosto 1995, n. 335, articolo 3, comma 12; ne' puo' rilevare, in senso contrario, il disposto della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 763, il quale va interpretato nel senso che la disposta salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al Decreto Legislativo 30 giugno 1994, n. 509 ed approvati dai Ministeri vigilanti, non vale a sanare la illegittimita' dei provvedimenti adottati in violazione della precedente legge vigente al momento della loro emanazione. Ne' rileva, sulla questione in esame, il disposto del Decreto Legge n. 201 del 2011, articolo 24, comma 24, convertito in Legge n. 214 del 2011, il quale estende all'arco temporale di 50 anni le misure da adottare volte ad assicurare l'equilibrio finanziario delle casse professionali.

Piu' in particolare si e' osservato (cfr. da ultimo Cass. ord. 14.2.14 n. 3514) che Nel regime dettato dalla Legge 8 agosto 1995, n. 335, articolo 1, comma 12, (di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), prima delle modifiche a tale disposizione apportare dalla Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 763, (legge finanziaria 2007), la garanzia costituita dal principio ed. del pro rata - il cui rispetto e' prescritto per le casse privatizzate ex Decreto Legislativo 30 giugno 1994, n. 509, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianita' gia' maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti - ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non gia' unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse. Pertanto con riferimento alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali e alle modifiche regolamentari adottare con Delib. 22 giugno 2002, Delib. 7 giugno 2003 e Delib. 20 dicembre 2003, che, nel complesso, hanno introdotto il criterio contributivo distinguendo, per gli assicurati al momento della modifica regolamentare, la quota A di pensione, calcolata con il criterio retributivo, e la quota B, calcolata con il criterio contributivo, opera - per il calcolo della quota A - il principio del pro rata e quindi trova applicazione il previgente piu' favorevole criterio di calcolo: la media di 15 redditi professionali annuali piu' elevati nell'arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione, e non gia' la media dei redditi degli ultimi 24 anni.

Tutte le complesse e contrarie argomentazioni della Cassa, oggi riproposte, sono state trattate nelle suddette pronunce e ritenute non condivisibili. Il Collegio ritiene di dover dare continuita' al riferito orientamento.

Inoltre, la sentenza invocata dalla Cassa n. 18478/2012 ha espressamente disatteso le argomentazioni della Cassa medesima, avendo affermato che "Non occorre quindi - diversamente da quanto sostiene la difesa della Cassa - fare applicazione di ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo a partire dalla Legge n. 160 del 1963, poi seguita dalla Legge n. 1140 del 1970, quindi dalla Legge n. 414 del 1991, e poi dalle Delib. del 1997. Si ha infatti che il principio del pro rata e' stato posto, per le Casse privatizzate, dalla Legge n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12, e quindi opera solo dall'entrata in vigore di tale legge di riforma ed in relazione alle anzianita' gia' maturate rispetto alla introduzione delle modifiche incidenti sulla determinazione della pensione e, quindi, con riferimento ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero stati altrimenti applicabili a tali pregresse anzianita'".

Il consolidato orientamento di questa Corte, sopra cennato, ha altresi' ritenuto infondato anche il richiamo allo "ius superveniens", ossia alla Legge n. 296 del 2006, articolo 1, comma 763. Tale norma sostituisce il primo e secondo periodo della Legge n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12: col primo si innalza l'arco temporale da prendere in esame per assicurare l'equilibrio di bilancio degli enti previdenziali privatizzati da 15 a 30 anni; col terzo periodo (sostitutivo del secondo della precedente norma) si dispone: "In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal suddetto articolo 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianita' gia' maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualita' e di equita' fra generazioni....".

E' stato al riguardo affermato (Cass. n. 13607/2012) che quella in esame E' una norma a carattere innovativo che in particolare, sostituisce il principio del pro rata di cui all'originario articolo 3, comma 12, nella formulazione della Legge n. 335 del 1995, con un principio similare, ma meno rigido. Non e' piu' previsto il "rispetto del principio del pro rata", ma occorre che le Casse privatizzate, e quindi anche quella per ragionieri e periti commerciali, nell'esercizio del loro potere regolamentare, abbiano "presente il principio del pro rata" nonche' "i criteri di gradualita' e di equita' fra generazioni"; cio' a partire dal 1 gennaio 2007. Il legislatore del 2006 ha quindi inteso rendere flessibile il criterio del pro rata ponendolo in bilanciamento con i criteri di gradualita' e di equita' fra generazioni. In questo modo lo spazio di intervento delle Casse e' maggiore e le esigenze di riequilibrio della gestione previdenziale potrebbero richiedere un sacrificio maggiore a chi e' gia' assicurato a beneficio dei nuovi assicurati".

La disposizione quindi facoltizza la Cassa ad adottare delibere in cui il principio del pro rata venga "temperato" rispetto ai criteri originari di cui alla Legge n. 335 del 1995, tuttavia cio' non puo' che valere per il futuro, cioe' per le delibere della Cassa adottate successivamente all'entrata in vigore della legge, ossia dal primo gennaio 2007, mentre nella specie si tratta di verificare la legittimita' delle precedenti Delib. del 2002 e Delib. del 2003 sulla base delle quali e' stata liquidata la pensione per cui e' causa. In altri termini, la modifica apportata alla facolta' di decisione della Cassa riguarda le delibere future, successive al gennaio 2007, ma non puo' operare retroattivamente, per rendere legittime delibere anteriori che dovevano invece conformarsi alla normativa vigente al momento in cui sono state emanate.

5.1 - Deve tuttavia considerarsi che la Legge 23 dicembre 2013, n. 147, articolo 1, comma 488, in vigore dal 1 gennaio 2014, stabilisce: "la Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 763, ultimo periodo si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine". Ritiene tuttavia il Collegio che anche a tale norma non possa attribuirsi natura retroattiva e risulti comunque inapplicabile al presente giudizio di legittimita', essendo subordinata ad un accertamento, l'essere gli atti e delibere degli enti finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine, in ogni caso non consentito a questa Corte.

Deve inoltre considerarsi che il giudice delle leggi (cfr. ex aliis, C. Cost. n. 78/2012), ha in piu' occasioni chiarito i limiti che il legislatore incontra nell'emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, individuandolo, in generale, nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse generale", ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). Ha quindi stabilito che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica puo' dirsi costituzionalmente legittima innanzitutto qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato gia' in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire "situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo", in ragione di "un dibattito giurisprudenziale irrisolto" (sentenza n. 311 del 2009), o di "ristabilire un'interpretazione piu' aderente alla originaria volonta' del legislatore" (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di principi di preminente interesse costituzionale. Ipotesi queste che non possono ravvisarsi nella specie, ove e' riconosciuta legittimita' ed efficacia, con effetto retroattivo ed a distanza di oltre dieci anni, con relativo vulnus alla certezza del diritto, a Delib. peggiorative di una sola categoria di assicurati (gia' pensionati), in contrasto con quanto affermato dal giudice delle leggi circa il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto). Nella specie non puo' ritenersi che sussistano detti requisiti, in primo luogo difettando una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, sussistendo in materia un ampio, e da tempo consolidato, univoco orientamento di legittimita', in senso peraltro opposto a quello della novella in esame, che si pone cosi' in contrasto con gli ultimi dei limiti indicati.

La soluzione fatta propria dal legislatore con la norma in questione, inoltre, non puo' essere considerata una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d'interpretazione, quanto piuttosto una norma innovativa, diretta esclusivamente a rendere retroattivamente legittimi gli atti e Delib. emanati dalla Cassa in contrasto con le norme vigenti in materia, come evincibili dal consolidato orientamento di legittimita' in argomento.

Pertanto, la norma della finanziaria 2014, lungi dall'esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato Legge n. 296 del 2006, articolo 1, comma 763, ad esso nettamente deroga, innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione, in contrasto col divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento e della tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti assicurati e gia' pensionati, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti (cfr. da ultimo C. Cost. n.l70/2013, n. 103/2013, n. 271/2011). La norma in questione, inoltre, facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza (cfr. C. Cost. n. 209 del 2010).

Ne' puo' venire in considerazione, nel contesto riferito, il principio della discrezionalita' del legislatore nel collocare nel tempo le innovazioni normative (C.Cost. ordinanze n. 137 e 346 del 2008).

E' peraltro noto che, a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007, la giurisprudenza della Corte costituzionale e' costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione - integrino, quali "norme interposte", il parametro costituzionale espresso dall'articolo 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (ex plurimis, sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; sulla perdurante validita' di tale ricostruzione anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sentenza n. 80 del 2011).

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha piu' volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'articolo 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia (ex plurimis Corte europea, sentenza sezione seconda, 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia; sezione seconda, 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; sezione quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia; sezione seconda, 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia). Pertanto, secondo il giudice delle leggi, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all'articolo 25 Cost.), se giustificato da "motivi imperativi d'interesse generale". Nel caso in esame, come si evince dalle considerazioni sopra svolte, non e' dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d'interesse generale, idonei ad attribuire effetto retroattivo alla norma in questione. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall'articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all'articolo 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, incidendo sull'esito giudiziario di controversie in corso. 13. - In definitiva il ricorso deve essere rigettato, imponendosi una interpretazione della Legge n. 147 del 2013, articolo 1, comma 488 conforme ai menzionati principi costituzionali.

Nulla per le spese, in quanto, per la accertata nullita' della procura rilasciata dall'intimato al difensore, restava precluso a quest'ultimo anche la partecipazione alla discussione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.


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