Teoria della retribuzione differita nel diritto della previdenza sociale

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La teoria della retribuzione differita nel diritto della previdenza sociale è una teoria giuridica desueta che fonda nel rapporto lavorativo dal quale scaturisce il reddito del lavoratore i principi per l'analisi dei principi alla base del diritto della previdenza sociale e sostituita dalla teoria costituzionale nel diritto della previdenza sociale (o modello costituzionale nel diritto della previdenza sociale[1]).

Tale teoria è anche detta anche "tesi lavoristica"[2][3] in quanto individua i contributi obbligatori per le assicurazioni obbligatorie come parte del salario o stipendio o retribuzione da restituire al momento del pensionamento.

La giurisdizione contraria alla teoria della retribuzione differita[modifica | modifica sorgente]

I contributi obbligatori come tributo e non come retribuzione differita[modifica | modifica sorgente]

La sentenza della Corte di Cassazione del 25 maggio 2011 n. 20845 conclude in questo modo:"Lo stato di dissesto dell'imprenditore - il quale prosegua ciononostante nell'attività d'impresa senza adempiere all'obbligo previdenziale e neppure a quello retributivo - non elimina il carattere di illiceità penale dell'omesso versamento dei contributi. Infatti i contributi non costituiscono parte integrante del salario ma un tributo, in quanto tale da pagare comunque ed in ogni caso, indipendentemente dalle vicende finanziarie dell'azienda. Ciò trova la sua «ratio» nelle finalità, costituzionalmente garantite, cui risultano preordinati i versamenti contributivi e anzitutto la necessità che siano assicurati i benefici assistenziali e previdenziali a favore dei lavoratori. Ne consegue che la commisurazione del contributo alla retribuzione deve essere considerata un mero criterio di calcolo per la quantificazione del contributo stesso (cfr Cassazione, 11962/2009 e 27641/2003)."[4]

Studiosi che aderiscono alla teoria del reddito previdenziale differito[modifica | modifica sorgente]

Dario Stevanato[modifica | modifica sorgente]

Il prof. Dario Stevanato afferma che " l’ordinamento consideri i contributi come prestazioni patrimoniali imposte (soggette alla riserva di legge ex 'art. 23 Cost.) non aventi natura tributaria ma di salario previdenziale differito, come attesta la deducibilità dei contributi dal reddito imponibile (che non potrebbe nemmeno concettualmente operare se i contributi fossero anch’essi imposte sul reddito) o l’inquadramento delle pensioni tra i redditi di lavoro dipendente (che ha senso solo se si considerano le pensioni un salario percepito in via differita)".[5]

Quindi Stevanato giustifica la teoria su due presupposti:

  1. i contributi previdenziali obbligatori non sono un tributo in quanto vanno dedotti dal reddito;
  2. le pensioni vengono inquadrate tra i redditi da lavoro dipendente al momento della tassazione.

Critiche alle motivazioni del prof. Stevanato[modifica | modifica sorgente]

  1. la doppia tassazione è vietata costituzionalmente, quindi è corretto che i contributi obbligatori siano dedotti dal reddito in quanto non debbono essere tassati due volte, come ad es. accade per l'IVA.
  2. le pensioni non vengono inquadrate come redditi da lavoro dipendente ma vengono tassate allo stesso modo per una scelta politica.

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. Veronica Valenti, Giuppichelli ed., Diritto alla pensione e questione intergenerazionale, 1a cop. - modello costituzionale
  2. Mario Intorcia, INPS, L'ordinamento pensionistico, p. 250 - Una diversa opinione, che trova riscontro nel convincimento dei lavoratori interessati (e delle loro organizzazioni sindacali), è quella che considera gli oneri sociali come una parte del salario, destinata obbligatoriamente al risparmio previdenziale (tesi lavoristica).
  3. Maurizio Cinelli, Giuppichelli ed., X ed. 2012, Diritto della previdenza sociale, p. 247 - La concezione del contributo come parte integrante del salario, dal suo canto, appare indubbiamente rilevante nell'ottica delle scienze economiche e politico-sociali, ma non altrettanto sul piano propriamente giuridico, stante l'obbligatorietà ex lege del prelievo e la sua confusione all'interno delle risorse finanziarie generali del sistema.
  4. diritto.it 23/02/2012, Infatti i contributi non costituiscono parte integrante del salario ma un tributo, in quanto tale da pagare comunque ed in ogni caso, indipendentemente dalle vicende finanziarie dell'azienda.
  5. Dario Stevanato, I contributi previdenziali sono tributi?, 31/1/2015. URL consultato il 31 genaio 2017.
    «l’ordinamento consideri i contributi come prestazioni patrimoniali imposte (soggette alla riserva di legge ex 'art. 23 Cost.) non aventi natura tributaria ma di salario previdenziale differito, come attesta la deducibilità dei contributi dal reddito imponibile (che non potrebbe nemmeno concettualmente operare se i contributi fossero anch’essi imposte sul reddito) o l’inquadramento delle pensioni tra i redditi di lavoro dipendente (che ha senso solo se si considerano le pensioni un salario percepito in via differita)».


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