Ulisse post 20180902
La nota 29, non è la più importante, ma è posta alla fine di tutte le note perchè nasce, ed è sviluppata, come dedica al Presidente
Sottotitolo: suona la zampogna
Occorrente,
zampogna
fiato
Buona volontà;
[29] Per la sua importanza è posta alla fine di tutte le note (v. infra).
[29] Visto che le Casse, in giudizio, nel recente passato, si sono avvalse anche delle competenze dello Studio Legale Mattia Persiani, qui citiamo l’emerito Avvocato con una nota ad hoc. Evidentemente il Presidente Luciano e la Cassa Pubblica che gestisce, lo considerano “Autorevole” in modi alterni e nei limiti della convenienza! Non si vedono alternative: o è mera convenienza oppure non adeguata competenza. Perché il Presidente Luciano ripete “a mo’ di mantra” che i contributi non sono spesa pubblica e non sono “imposte” (v. supra). Ma questo sempre senza mai sbilanciarsi nel dire quale sia, secondo lui, con sue parole, la loro natura giuridica dei contributi! Citazione che riporto sebbene il Manuale dell’Avv. Persiani sia “volutamente” lacunoso e fuorviante quando arriva il momento di dover spiegare il quando sorge l’obbligazione contributiva “specifica” in capo al singolo avvocato. E questo indubbiamente al fine di salvaguardare determinati “interessi”: sia mai che la Colleganza debole arrivi a capire come stanno esattamente le cose! Ad ogni modo: “(…) Tutte le soluzioni possibili del problema della natura giuridica dei contributi previdenziali sono state proposte dalla dottrina: da quella per cui essi dovrebbero essere considerati come un corrispettivo delle prestazioni previdenziali, alla stregua dei premi delle assicurazioni private, fino a quelle che ne hanno sostenuto alla natura di tributo, discutendosi poi se si tratta di tassa, di contributo speciale, di imposta in senso stretto oppure di imposta speciale. L’opinione secondo la quale i contributi previdenziali sarebbero da considerare come premi di assicurazione, però, deve essere respinta solo tenendo presente l’inesistenza di quel nesso di corrispettività tra contributi e prestazioni previdenziali che ne costituirebbe il presupposto. Allo stesso modo la configurazione dei contributi previdenziali come parte integrante del salario considera i contributi previdenziali con esclusivo riguardo al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro; nulla dice a proposito della natura giuridica dei contributi previdenziali. Si deve quindi convenire con la dottrina prevalente la quale ritiene che i contributi previdenziali siano tributi imposti dalla legge a favore di un ente pubblico e per la realizzazione di un pubblico interesse. Le incertezze che sussistono circa l’ulteriore qualificazione dei contributi previdenziali come tasse, come contributi speciali, oppure come imposte, non sono essenziali né rilevanti. Tuttavia l’ulteriore qualificazione è rilevante per una più precisa comprensione del sistema giuridico della previdenza sociale, posto che ad essa corrisponde una diversa concezione della funzione assolta dalla tutela previdenziale.” Da questo punto di vista va innanzitutto respinta l’opinione di chi ritiene che i contributi previdenziali siano figure autonome speciale del tributo; poiché si perviene a tale conclusione solo perché si è ritenuto impossibile accettare una delle qualificazioni tradizionali, essendosi ammessa l’esistenza di una relazione sinallagmatica a tra l’obbligazione contributiva è quella di erogare le prestazioni previdenziali. Poiché nei tributi la corrispettività tra il sacrificio dell’imposizione e il vantaggio che ne deriva ai singoli è normalmente esclusa. Va anche respinta configurazione dei contributi previdenziali come tasse o come contributi speciali. La caratteristica di ambedue queste figure di tributi sta in ciò che il fondamento della loro imposizione risiede nell’esplicazione di un’attività pubblica dalla quale l’obbligato riceve un vantaggio specifico, distinto e diverso da quello di cui tutta la collettività gode. Accogliendo una di queste configurazioni berrebbe esclusa quella particolare coincidenza tra interesse pubblico e interesse dei soggetti protetti. Se si tiene conto del significato dell’intervento dello Stato nel sistema della previdenza sociale, i contributi previdenziali possono essere configurati come imposte. Le imposte sono le prestazioni pecuniarie che un ente pubblico ha il diritto di esigere in virtù della sua potestà di imperio, nella misura nei modi stabiliti dalla legge, allo scopo di reperire mezzi necessari allo svolgimento della sua attività. Presupposto dell’imposta è esclusivamente la soggezione alla potestà dello stato, mentre l’impiego che l’ente pubblico fa del ricavo dell’imposizione, in base a norme estranee al rapporto tributario, non ha alcuna influenza sull’origine e sull’estensione dell’obbligo contributivo. La funzione dei contributi previdenziali e è quella di fornire agli enti previdenziali i mezzi necessari alla realizzazione dai compiti loro affidati dalla legge per la soddisfazione immediata di un interesse pubblico. Né il presupposto dell’obbligazione contributiva può essere individuato nella traslazione del rischio professionale. Obbligati al pagamento dei contributi possono essere gli stessi soggetti che beneficiano della tutela previdenziale; mentre, quando lo sono altri soggetti, tra questi soggetti protetti intercorrono rapporti a volte diversi da quelli di lavoro subordinato e cioè rapporti associativi, di lavoro autonomo o addirittura familiari. Il trasferimento del rischio professionale all’imprenditore non può fornire il criterio per individuare il presupposto dell’imposizione contributiva, proprio perché giustificato e strettamente connesso con la subordinazione che è tipica del rapporto di lavoro subordinato. In realtà, l’obbligo contributivo è giuridicamente indipendente sia dall’effettiva erogazione delle prestazioni previdenziali, sia dal vantaggio che i soggetti obbligati potrebbero trarre dalla realizzazione della tutela previdenziale. I contributi previdenziali sono dovuti esclusivamente in vista della realizzazione di un interesse pubblico e hanno la funzione di fornire mezzi necessari agli enti che con la loro attività devono soddisfare questi interessi. Il gettito dei contributi è destinato alla corresponsione indifferenziata delle prestazioni a chi si viene a trovare nelle condizioni previste dalla legge per averne diritto. La validità di questa impostazione risulta confermata dalla possibilità di qualificare i contributi previdenziali come imposte speciali; come quei contributi cioè che colpiscono solo determinate categorie o gruppi di persone e il cui provento ha una particolare destinazione, alla quale i soggetti obbligati possono avere un particolare interesse senza, però, che l’obbligazione tributaria sia commisurata al vantaggio del contribuente. (…)” – Mattia Persiani, Diritto della Previdenza Sociale; ventesima edizione, anno 2014. “Un problema particolare concerne la applicabilità o meno del principio di capacità contributiva alle tasse. Abbiamo detto sopra che a tutti i tributi si applica il principio di capacità contributiva. Abbiamo inoltre affermato che i tributi sono: imposte, tasse, contributi speciali, monopoli. La conclusione del sillogismo dovrebbe essere necessitata: anche alle tasse si applica l’art. 53 Cost. La Corte costituzionale, tuttavia, ha escluso che alle tasse il principio si applichi (C. cost., sentt. nn. 30/1964, 23/1968, 91/1972). In realtà, secondo una parte della dottrina, che appare preferibile, tali sentenze dovrebbero meglio intendersi affermare la regola che nei confronti delle tasse non è necessario accertare, di norma, se siano pretese in presenza di una capacità contributiva: dato che le tasse sono di solito di ammontare molto esiguo, è statisticamente normale che chi è chiamato a pagarle abbia i mezzi per farlo. Come si vede, questa interpretazione rovescia il significato della apparente impostazione della Corte costituzionale: non è vero che per le tasse la capacità contributiva sia irrilevante: essa è, più semplicemente, presunta.” – da Lezioni di Diritto Tributario, G. Giappichelli Editore; febbraio 2013, Edizione IV.
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Il 6 giugno 2017, a Macerata, la “puttanatologia” (Neologismo, così indicato da Treccani, la cultura italiana – v. poco oltre per capire l’intreccio ed il perché ognuno ha la sua parte di “responsabilità”) entra persino all'università. E la teoria e la tecnica della spoliazione legale trova conferma anche nei fatti qui appresso rappresentati in sequenza. Quanto segue, unitamente a quanto precede, palesa come si usa potere, posizioni di comodo, competenze e curricula per “inseminare” (con) ciò che è più confacente alla élite dominante del momento secondo il proprio bisogno. Per il cinquantenario della scuola di Diritto sindacale e della Previdenza dell'Università di Macerata, infatti, è stato invitato, il prof. Mattia Persiani ed il Presidente di Cassa Forense avv. Nunzio Luciano. Già in altre note avevo segnalato l’uso “manipolatorio” delle affermazioni dell'avv. Nunzio Luciano, come anche quella sui diritti acquisiti che, in realtà, “non esistono” (semmai esistono delle aspettative di diritto più o meno legittime: v. mie specifiche e trascorse note unificate), il quale, come Presidente della Cassa, ha dichiarato più e più volte, con la solita tiritera, che i contributi previdenziali obbligatori _non sono_ una imposta. E senza specificare, lo ripetiamo, almeno con proprie parole cosa siano per lui. Infatti nel manuale dell'emerito professor Mattia Persiani è ben spiegato quanto sopra, ovvero che i contributi previdenziali hanno natura tributaria e sono una imposta. Ora vari neo esperti di previdenza sociale, e delegati della Cassa compresi reclamizzandosi, oltretutto violando il codice deontologico, su noti quotidiani nazionali (v. gli allegati) hanno altre teorie sul fatto che siano tributi, imposte speciali, prestazioni imposte ecc. Il fatto è che una cosa non può essere tutto ed il contrario di tutto. Quindi se uno ha ragione, tutti gli altri sono esperti di “puttanatologia”. Definire come imposte i contributi previdenziali ha delle ripercussioni immense nel campo della politica, dell'economia, delle scienze sociali. Per questo, se andiamo a vedere i glossari specialistici della CGIL, dell'INPS, dell'ISTAT, e delle varie enciclopedie Treccani o nel glossario Simone, non troveremo mai questa definizione. Le definizioni sono usate secondo la convenienza del momento e per biechi interessi della cricca dominante e capace di “controllare la fonte delle informazioni” e/o a darne o toglierne autorevolezza. Si dice che sono pagamenti obbligatori per finanziare le pensioni in essere, non si parla mai di imposte. L'Italia è fallita proprio per questo motivo, perché nessuno dice che le pensioni regalate si pagano con le “vessazioni” procurate ossia con una pressione fiscale spropositata che uccide il Lavoro e tanto altro. Per le Casse di previdenza dei Liberi(?) professionisti, la cosa è peggiore in quanto Inarcassa, ad esempio, paga le pensioni paghi uno e prendi otto. La Cassa previdenziale forense, ad esempio, vedi sempre le mie precedenti note per i dettagli, è ancora finanziata con il “sistema a ripartizione con calcolo retributivo”, che elargisce pensioni 4,26 volte il contributo medio versato (fonte ultimo bilancio di Cassa previdenziale avvocati ed il quarto rapporto su "Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano” di Itinerari Previdenziali). Questo significa che tutt’ora non solo gli avvocati deboli vengono costretti a pagare le pensioni privilegiate dei più anziani che non sono coperte dal montante contributivo ma è la dimostrazione della insostenibilità stessa del sistema della Cassa Forense. E così dopo aver distrutto il lavoro, ora le medesime élite che hanno distrutto l'economia si sono attrezzate per espellere dal mercato i più deboli. È il trionfo della “imbecillocrazia” (cit. Bruno De Finetti) per noi caproni, e festa grande per le volpi che sono state poste a “normare” e “gestire” il Pollaio. A tal proposito cito da alcune mie note e conversazioni con il MEF (che trovate tra gli allegati) e interrotte proprio nel momento in cui… basta leggere per capire: Ministero dell'Economia e delle Finanze, “(…) Il 10/01/2018 09:49, URP ha scritto: Gentile dr Ulisse, le inoltro in virgolettato la risposta del Dipartimento delle Finanze alla sua richiesta: "le definizioni di "pressione fiscale" e "pressione tributaria" a cui fa riferimento il MEF sono quelle ampiamente utilizzate in letteratura economica. Più in particolare la definizione Istat di pressione fiscale a cui si fa riferimento è corretta. La pressione tributaria invece, a differenza della pressione fiscale, non considera i contributi sociali. Un esempio di definizione di "pressione fiscale" e "pressione tributaria" in letteratura economica è reperibile nel dizionario di economia e finanza Treccani, al link: http://www.treccani.it/enciclopedia/pressione_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/" Distinti saluti”; a tale singolare risposta, seguiva la mia richiesta di chiarimento: “Spett.le MEF, Riporto integralmente, come da allegato in calce: “Riscontro la sua e la ringrazio per le informazioni rese, tuttavia ora mi sorge una questione importante, ovvero; se i contributi previdenziali sono tributi, così come pacificamente riconosciuto da autorevolissima dottrina, dal Consiglio di Stato e dalla Cassazione penale, non si comprende perché nella definizione di “pressione tributaria” – che per definizione deve ricomprendere tutto dal momento che imposta, tassa o contributo sono tutte specificazioni del tributo – dell’interpretazione data dal Mef proprio i contributi sociali sono esclusi. Considerato, oltretutto, che proprio il Mef ritiene corretta la definizione dell’Istat da me proposta, ovverosia che nella definizione di “pressione fiscale” si devono intendere ricompresi anche i contributi sociali e così riconoscendo che i contributi sociali medesimi sono “imposte”. Sono dunque di nuovo a chiederle di intercedere cortesemente presso il Mef per conto del sottoscritto al fine di chiarire tale specifica incongruenza. Certo di una sua gentilissima collaborazione cordialmente saluto. (…) POSCRITTO: Anche la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di cassazione, con la Sent. 20725 del 10 maggio 2018, sempre in riferimento all’obbligazione contributiva previdenziale, non lascia adito a dubbi parlando di “adempimento di obbligazioni tributarie”, di “debito di imposta”, di accantonamento di “somme dovute all’erario” e quant’altro. Se non altro è davvero curioso che si redigano atti sulla base della letteratura economica e non delle norme giuridiche e, semmai, alla luce della copiosa giurisprudenza sul tema. (…)”. Al mio sollecito, volto a sottolineare i tanti, troppi, giorni trascorsi è seguita solamente la seguente risposta: “Egr. Avv. Ulisse, come da email riportata in calce, la sua ultima richiesta di maggiori informazioni è stata inoltrata da questo URP al Dipartimento delle Finanze dopo alcune ore dal suo arrivo (24 ore e 41 minuti).” Ad ogni buon conto, così tutti possiamo farci una idea e chi deve intendere intende; Treccani è “L’Istituto, riconosciuto quale ente di diritto privato di interesse nazionale e istituzione culturale (l. 123/2 aprile 1980), è indipendente dallo Stato e da altri enti, anche per la parte finanziaria. La nomina del suo Presidente, per l’importanza culturale che riveste, spetta al Presidente della Repubblica.”: E la sua gestione finanziaria quale ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA G. TRECCANI S.p.a., è sottoposta al “controllo” della Corte dei Conti: http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_controllo_enti/2017/delibera_3_2017.pdf Devo Aggiungere altro?!
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[*] “La Costituzione della Repubblica Italiana”, illustrata con i lavori preparatori da Vittorio Falzone, Filippo Palermo, Francesco Cosentino, del Segretariato Generale della Camera dei Deputati; con prefazione di Vittorio Emanuele Orlando. Raro documento della Biblioteca della Camera dei Deputati, 28 aprile 1949 ( http://documenti.camera.it/bpr/14611_testo.pdf ).
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